ItalianoHrvatskiEnglishFrançaisDeutchEspañolPortuguesePo PolskuSlovakia     

 

Omelia - Quarta Domenica di Quaresima

Una scena che si verifica spesso quando facciamo visita ai carcerati, nella casa di reclusione, è quella in cui gli agenti di custodia smistano la posta, chiamando per nome e cognome i detenuti che hanno ricevuto una lettera. È toccante vedere che arrivano e aspettano: sperano che qualcuno gli abbia scritto. Qualcuno riceve tante lettere, altri poche, qualcuno nessuna. Immaginate il dolore di quella persona a cui nessuno scrive. In ogni liturgia noi possiamo ascoltare quello che Dio “ci ha scritto”; attraverso la Sua Parola, che la Chiesa ci offre, è Lui a parlare a ciascuno di noi, è Lui che non ci abbandona e viene ad illuminare la nostra solitudine
Nella prima lettura il profeta Samuele era convinto che quel primogenito, alto, forte e robusto, umanamente dotato, fosse colui che Dio aveva scelto. E invece, ecco il grande insegnamento: l’uomo vede ciò che appare, Dio va oltre, arriva al cuore, ai segreti dell’anima. Questa verità guarisce tante ferite che nascono da quella brutta malattia del voler apparire, da quel “… cosa ne dice la gente, cosa penseranno di me?”. Tante volte siamo condizionati nelle scelte non dall’essere che viviamo di dentro, non dalla verità che viene da Dio, ma dall’apparenza, che è quello che vede l’uomo. La Parola di Dio dice: “Maledetto colui che confida nell’uomo”. Questo cammino di Quaresima deve servirci per entrare, passo dopo passo, nel mistero di un Dio morto sulla croce per amore, per liberarci da tante paure. Non abbiate paura del giudizio degli altri, ascoltate la voce del cuore! Dio arriva lì, ed è lì che ci aspetta, anche se è vero che non è facile, che il nostro cuore è difficile da raggiungere e figuriamoci quello degli altri! Quello della moglie o del marito… Cominciamo a entrare in noi, chiediamo a Dio di aiutarci a toglierci le maschere dell’apparire e arrivare alle sorgenti della vita e dell’essere, ed è lì che Lo incontreremo.
Alla fine della lettura, la Parola di Dio dice: “Lo Spirito del Signore irruppe su Davide, da quel giorno in poi”. Davide era un bambino, neanche sapeva quello che stava accadendo: quel gesto di Dio nei suoi confronti lo capirà dopo, nel corso degli anni ed anche fraintendendolo a volte, comportandosi come se ciò che Dio ha fatto di lui fosse cosa sua personale di cui non rendere conto a nessuno. Ciononostante in quel giorno nel cuore di Davide lo Spirito “irrompe” e questo non vale solo per Davide, ma anche per noi. Se Dio ci trova “belli” come era “bello” Davide quel giorno, anche in noi “irrompe lo Spirito”. Allora siamo diversi, pur essendo sempre noi stessi, perché arriva in noi la luce dello Spirito. Allora abbracci la verità della tua storia, trovi quella pace che il mondo non conosce, trovi la tua vocazione, la tua missione che è sempre un servire. Servire la vita dei nostri fratelli, sorelle, dei nostri cari, servire la vita dei poveri: lì è regnare, lì sta la gioia della vita, poter sentire che Dio regna nel tuo cuore. È bello quando sentiamo che, con la presenza dello Spirito, la nostra vita è “dominata” dall’amore, è guidata dalla pace.
Questi sono i “frutti” di cui ci parla San Paolo nella Seconda Lettura: frutti di bontà, di giustizia, di verità. “Non partecipate alle opere delle tenebre”: quante volte sentiamo dire tante cose brutte, dalla televisione, dal vicino di casa, dai parenti… “Maledicono”, cioè dicono il male, e come dice il profeta Isaia, “Il giusto si tura gli orecchi per non sentire il male”. Perché poi ci partecipi a quel male, anche semplicemente ascoltandolo. Madre Elvira ci ha insegnato che quando qualcuno arriva a scaricare la “spazzatura” del suo cuore, a dire il male che vive nei confronti degli altri, devi avere il coraggio di fermare quel discorso, e dire: “Senti, perché lo dici a me? Dillo a lui, o a lei, se davvero credi che sia vero e giusto quello che stai dicendo a me”. Quando qualcuno dice male di qualcun altro, e tu ascolti, è un partecipare ad una tenebra, perché in quelle parole manca l’amore, magari è una cosa anche giusta, perché veramente sono successe quelle cose, ma è una verità senza speranza, un giudizio di condanna, senza più spazio per Dio e per l’altro. Paolo ci dice che Il risultato di quel male è la sterilità: “Le opere delle tenebre non danno frutto”, sono aride, tristi. Sono male, e il male fa male. Paolo ha questo coraggio: “Piuttosto condannatele apertamente”. Anche lì abbiamo bisogno di crescere: quando vediamo qualcosa che non va, anche nella nostra vita, condanniamola apertamente. Nella confessione, andiamo a chiedere la Misericordia del Signore: denunciandola, diventa luce. Ci vuole tanta fede per fare questo passo, perché la tenebra ci scandalizza, ma non scandalizza Gesù! Lui è la luce del mondo, non ha paura delle nostre tenebre: fanno paura a noi, ma nel momento in cui le consegniamo a Lui, ne siamo liberati. Che bello sperimentare cosa vuol dire essere liberi dal passato, liberi dal peccato! Il male esiste, ci sarà sempre; si può cadere mille volte, ma se io lo denuncio apertamente alla Misericordia, quella tenebra scompare.
Pensiamo a quell’uomo cieco dalla nascita, di cui si parla nel Vangelo. Gesù lo fissava, gli leggeva in fondo al cuore la voglia di vivere, di guarire, di essere liberato da un peccato che magari non aveva neanche fatto, ma che gli apostoli sospettano: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, per essere così?”. Noi ragioniamo ancora così adesso: “Mi è capitata una disgrazia … cosa ho fatto di male, perché Dio mi punisca?”. Gesù risponde: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Questa è la nostra Comunità: chi è più rovinato, frantumato dal male che un ragazzo, una ragazza caduti nell’abisso della droga? Eppure è proprio lì, nel fondo della tenebra più fitta che il mondo vive oggi, che Dio si rivela nella sua Misericordia, trasformandoci in risorti. Il miracolo è possibile, Dio lo può fare, ma dipende sempre dalla fede. Gesù dice al “cieco nato” di andare a lavarsi nella piscina di Siloe; lui poteva anche non andare, eppure “… andò, si lavò, e tornò che ci vedeva”, poi Gesù lo incontra e gli chiede: “Tu credi?”; lui si prostra e risponde: “Credo, Signore!” Ecco il momento più importante! Non basta guarire per essere salvati, quello che conta è la fede: è la fede che ci salva, ed è la fede che ci manca. Quante volte siamo tristi, delusi, arrabbiati, perché siamo poveri nella fede, e invece, ritrovando quell’amore che ci guarisce, che ci salva, che non ci giudica, lì si riaccende anche la speranza. La fede è l’unica strada che salverà tutta la nostra vita.

Stampa questa paginaStampa questa pagina