Venerdì 17 luglio 2009
Catechesi di S.E.R Card. Cristoph Schönborn Arcivescovo di Vienna
Sia lodato Gesù Cristo! Cara Madre Elvira, cari fratelli e sorelle, ho così tanto nel cuore da comunicarvi sulla misericordia di Dio, su “Misericordia e verità si incontreranno” che non so se tre ore mi basteranno. Vorrei cominciare con due scene del vangelo. Mi colpisce sempre molto il contrasto tra la misericordia di Gesù e la misericordia dei discepoli. Mi ritrovo spesso nella misericordia dei discepoli e mi scopro quasi spaventato davanti alla misericordia forte, esigente, ma veramente misericordiosa di Gesù. Prendo due esempi dal Vangelo: il primo è nel sesto capitolo del Vangelo di Marco, quando i discepoli erano mandati da Gesù due a due nella prima missione. Mai soli: questa è una delle regole fondamentali del Vangelo. Nessuno può andare da solo per annunciare il Vangelo, sempre in due perché, come dice San Gregorio Magno, non si può praticare la carità da soli; c’e sempre bisogno almeno di un altro con cui vivere la carità, e dunque Gesù li manda a due a due. Quando tornano a casa da questa prima missione, Gesù dice loro: “Venite, andiamo in un luogo solitario, dove potete riposarvi un po’” perché c’era così tanta gente che non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora sono partiti con una barca sul lago di Galilea per andare in un luogo solitario, ma la gente ha visto che partivano e ha camminato lungo il lago, arrivando prima di Gesù. All’arrivo, si trovavano probabilmente a Tabga, il luogo della moltiplicazione dei pani. Quando Gesù vide questa folla era commosso, pieno di compassione perché “erano come pecore senza pastore”. Il termine greco è “splanchna” che sono le viscere, in ebraico è “rahamim”, “rechem”, che è il grembo materno; Gesù era commosso fin nel profondo della sua vita, del suo essere, come una madre è commossa nel suo grembo per il suo bambino. Vedendo la folla, era pieno di compassione e misericordia perché erano come pecore senza pastore, e Marco aggiunge: “E si mise ad insegnare loro molte cose”; ha insegnato tutto il giorno. Mi colpisce molto che la prima misericordia di Gesù sia dare la Parola di vita, insegnare molte cose; e tutto il giorno queste cinquemila persone, senza contare donne e bambini, ascoltavano Gesù che insegnava. Insegnava il cammino della vita. Adesso viene la misericordia dei discepoli, vediamo come erano misericordiosi loro: “Essendosi ormai fatto tardi gli si avvicinarono i discepoli dicendo: questo luogo è solitario, è ormai tardi, congedali perciò, in modo che possano andare nei villaggi vicini a comprarsi da mangiare”. Matteo dice che hanno detto a Gesù: “Manda via la gente!”. Io ho il sospetto che alla fine di questa lunga giornata sentivano un certo vuoto, un vuoto che si chiama fame, e volevano finalmente stare in pace. Sono venuti in questo luogo solitario per avere un po’ di pace, di riposo, di vacanza, per stare soli con Gesù ed ecco tutta questa folla; per questo dicono: “Manda via la gente!”. Questa è la misericordia dei discepoli. La folla viene per vedere Gesù e i discepoli la mandano via: quando faccio il mio esame di coscienza di Vescovo, di prete, medito spesso su questo. Ma Gesù dà loro una risposta impossibile: “Voi stessi date loro da mangiare!”. Allora si coglie nel Vangelo la reazione degli apostoli: “Ma sei pazzo!”; non dicono così nel Vangelo, ma lo hanno certamente pensato. “Sei pazzo, dobbiamo andare noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare!”. Duecento denari erano il salario annuale di un lavoratore. Ma essi non hanno soldi, non hanno niente. E Gesù dice loro: “Date loro voi stessi da mangiare!”. Gesù chiede delle cose impossibili, la misericordia di Gesù ci sembra spesso eccessiva, impossibile. Come fa? Quello che Lui si aspetta dai suoi discepoli è veramente impossibile, mentre quello che loro desiderano e dicono è più che comprensibile: “Vogliamo avere pace, manda via questa gente!”. La Misericordia che Gesù insegna è difficile, ma è la sola vera. E vi offro ora un secondo esempio, dove la misericordia di Gesù ci appare durissima. Nel capitolo quindici di Matteo, Gesù ancora una volta si ritira con gli apostoli: questo è un movimento importante nella vita di Gesù, si ritira anzitutto per la preghiera. Santa Teresa d’Avila diceva: “Lascia tutto, ma non lasciare la preghiera”. Gesù partito di là si ritira nella regione di Tiro e Sidone, una zona pagana, tra i pagani, ed ecco una donna Cananea, una pagana originaria di quei paesi, gridava: ”Abbi pietà di me Signore, figlio di Davide, mia figlia è duramente vessata dal demonio!”. Quanti genitori qui oggi possono comprendere questo grido della povera donna pagana: “Mia figlia è duramente vessata dal demonio”, ma Gesù non risponde niente, nemmeno una parola. Ma come è possibile: Gesù non è toccato dalla sofferenza di questa donna? Perchè non risponde? Allora vediamo gli Apostoli come sembrano misericordiosi: “Avvicinatisi, i discepoli lo pregarono: esaudiscila”; loro vedono la pena di questa madre, e supplicano Gesù: “Dagli ciò che chiede, esaudiscila” e aggiungono immediatamente la ragione per la quale sono così misericordiosi: “Esaudiscila, perchè ci grida dietro, sta gridando dietro di noi”. Ecco la misericordia dei discepoli; non era la risposta alla miseria della donna, della madre che supplicava Gesù per sua figlia, ma era: “Questa donna che grida tanto dietro di noi, che stia zitta!”. Io penso tanto a noi Vescovi: abbiamo paura di queste grida della stampa, dei mass-media che gridano dietro di noi, e allora vogliamo che Gesù risolva tutti i problemi per avere la nostra pace, per stare tranquilli, ma questa non è la misericordia di Gesù! La Misericordia di Gesù va molto oltre questo; Gesù risponde: “Non sono stato mandato se non per le pecore disperse della casa di Israele”. Gesù le dice: “Io sono venuto per gli ebrei, sono ebreo, sono il Messia di Israele, non sono venuto per voi pagani, non è lavoro mio, non mi interessate!”. Che durezza! Allora cosa fa questa donna? Essa venne a prostrarsi davanti a Lui e disse: “Signore, soccorrimi”. Continua ad urlare la sua miseria, la sua compassione per sua figlia. E Gesù cosa risponde, cosa dice? “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”, ai cani. È il disprezzo completo. La durezza di Gesù è terribile, come può agire così? Ma questa signora non si lascia impressionare dalla apparente durezza di Gesù, e dice: “Sì, Signore, hai ragione, è vero; noi pagani, io povera pagana, non ho nessun diritto al pane che è per i figli, ma anche i cagnolini si nutrono delle briciole che cadono dalla mensa dei padroni”. E adesso Gesù non può più ribattere, lei se l’è guadagnato: “Oh donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come tu vuoi”. Da quel momento sua figlia fu guarita. Cosa è questa misericordia di Gesù? Lui sembra solo duro, ma nella sua misericordia divina, veramente divina, ha condotto questa donna a un atto di fede fantastico, una fede totale, non ha dato subito tutto come siamo tentati di fare noi: risolvere subito tutti i problemi; questa non è misericordia! Gesù fa camminare nella fede, fa camminare questa madre nella sofferenza finchè capisce: ”Io non ho nessun diritto che tu Gesù venga in mio soccorso e guarisca mia figlia”. Ma lei ha un desiderio che non desiste davanti alle difficoltà, davanti all’apparente insuccesso delle sue domande. Ecco la misericordia di Gesù. Vi invito a fare alcuni passi, per entrare di più nella comprensione della misericordia di Dio attraverso la Parola di Dio e l’esperienza umana della quale siete ricchi. Cosa è in realtà la misericordia? Dov’è il limite, il confine fra misericordia e leggerezza, fra misericordia e ingiustizia? Talvolta la severità è misericordia più che il lasciar correre tutto; “everything goes” oggi si dice; tutto è possibile, tutto si può fare: questo non è misericordia. I genitori che permettono tutto ai propri figli non sono misericordiosi, hanno la misericordia dei discepoli, non vogliono che i bambini gridino dietro. E per questo danno i soldi, il computer, li mettono davanti alla televisione... ma questa non è misericordia. L’amore sopporta molto ma esige anche molto. ¬Oggi viviamo in un’epoca di darwinismo sociale. Ho studiato molto questa questione e ho fatto discussioni pubbliche, e sempre su questo punto: è vero quello che ha detto Darwin? Che sopravvive il più forte, che questa è la legge della natura, la sopravvivenza del più forte? Guai ai deboli, guai ai poveri! Se questo è il modello della società, guai a noi! La psicologia oggi spesso dice: tu devi farti valere, tu devi importi, tu devi realizzarti. La misericordia è considerata come debolezza, come qualche cosa che non serve al successo, alla propria vita, all’io. Friedrich Nietzsche, questo povero grande filosofo, ha detto che il cristianesimo è la religione dei deboli, e che la misericordia per lui è un Dio miserabile, che i cristiani sono uomini inferiori, perché la misericordia indebolisce l’uomo, lo rende impotente. E poi c’è il sospetto che la misericordia possa umiliare gli altri. Se sei misericordioso, io sono su e tu sei giù. Ma d’altra parte sento tante volte il rimprovero che la Chiesa sia senza misericordia. Quante volte ho dovuto sentire questo! Per esempio senza misericordia con i divorziati risposati. Allora io dico sempre: guardate ciò che ha fatto Gesù quando gli hanno chiesto: “Ma Mosè ci ha permesso di mandare via la moglie, di dare un atto di divorzio”. Cosa rispose Gesù? “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha dato il permesso di ripudiare le vostre mogli. Per la durezza del cuore! Quando sento dire la Chiesa è senza misericordia, io chiedo: “Ma voi genitori che avete divorziato, siete stati misericordiosi con i vostri figli? Chi ha fatto soffrire i figli? Perché avete fatto portare il giogo dei vostri conflitti sulle spalle dei vostri figli? Chi manca di misericordia?”. E spesso c’è un momento di silenzio. La Chiesa è l’unica, l’unica nella nostra società che difende il matrimonio! Che difende i deboli, che sono i bambini, che hanno bisogno dei genitori. E lo dico perché anche il matrimonio dei miei genitori è fallito, ho conosciuto il divorzio dei miei genitori. Uno dei più bei momenti della mia vita e forse anche il più duro è stato quando i giovani, in una scuola, mi hanno chiesto: “Cardinale, qual è stato il momento più duro nella sua vita?”. Sono rimasto un po’ sorpreso di questa domanda, e spontaneamente - non ho pensato - spontaneamente dal cuore ho risposto: “Il momento in cui ho saputo che i miei genitori avrebbero divorziato”. C’è stato un silenzio totale e tutti questi giovani ascoltavano. E poi ho aggiunto: “Ma vedete, io ho fatto anche l’esperienza della bellezza della riconciliazione. I miei genitori non si sono ritrovati, ma si sono riconciliati. E papà, prima della morte - aveva un cancro - è venuto a casa per celebrare l’ultimo Natale della sua vita in famiglia”. Se facciamo l’esperienza della misericordia di Gesù, di Dio, del suo perdono, è vero che le ferite rimangono, le cicatrici delle ferite rimangono, ma c’è la vera guarigione, è c’e qualcosa di più che è la novità del perdono. Per questo forse il Signore permette che passiamo attraverso tante sofferenze, per fare conoscenza della grandezza della sua misericordia. Sì, la Chiesa è misericordiosa. Ma in che cosa consiste la misericordia? Anzitutto la misericordia è il cuore più intimo di Dio stesso. La misericordia di Gesù non viene dalle idee, dai sentimenti, ma sorge direttamente dal cuore del Padre. Gesù ci dice: “Io vi dico ciò che ho udito, ciò che ho visto da mio Padre”. È la traduzione, in gesti e parole umane, della misericordia del Padre stesso. E per questo Gesù ha detto: “Chi vede me, vede il Padre”. Quando vediamo la misericordia di Gesù in atto, concreta, vediamo il Padre, vediamo Dio. Ma per dire la misericordia in ebraico ci sono due termini, e questo è molto interessante. Papa Giovanni Paolo II ha fatto una bellissima meditazione su questo nell’Enciclica “Dives in Misericordia”. Sono due parole, “khesed” e “rehem”. “Khesed” è la fedeltà, “rehem” è il grembo materno. E Papa Giovanni Paolo spiega che questi due aspetti sono come la fedeltà di un padre e la tenerezza di una madre. Ambedue fanno parte della misericordia di Dio: sono l’aspetto maschile e quello femminile. Cari amici, quanto abbiamo bisogno di padri oggi! Padri. C’e bisogno della khesed, della solidità, della fedeltà del padre. E mi pare che questa sia una grande mancanza nella nostra società di oggi, nella nostra vita, e ne abbiamo tanto bisogno. Mi ricordo quando morì Papa Giovanni Paolo II: c’era una folla immensa, si diceva quattro milioni di persone che hanno voluto vedere la salma del Santo Padre a San Pietro. Aspettavano in una lunghissima fila nella piazza di San Pietro e oltre, fino a quindici, sedici ore per passare un momento davanti alla salma del Papa. Io, da Cardinale, ho potuto passare subito. Non ho aspettato ore, lo ammetto: lo zucchetto rosso è il “passaporto” a Roma. Ma ho chiesto a tanti giovani: “Ma perché fate questo, tutta questa fatica di aspettare?”, e tutti hanno risposto: “Lui era un padre, abbiamo perso un padre, vogliamo ringraziarlo”. Questa paternità di Papa Giovanni Paolo, e in un modo più nascosto e riservato oggi quella di Papa Benedetto: ne abbiamo tanto tanto bisogno! Io lo conosco molto bene Papa Benedetto, da trentasette anni: sono stato suo studente e suo allievo a Ratisbona, quando era professore, e poi ho potuto stare vicino a lui tanti anni quando si è lavorato per il nuovo Catechismo. Posso dire e testimoniare che è un uomo di grande umiltà, di grande semplicità. Ho chiesto una volta alla portinaia del palazzo della Congregazione quando è arrivato lui come nuovo prefetto: “Come è questo Cardinale tedesco?”. Lei mi ha risposto: “È un vero cristiano”. Che bella testimonianza questa: “È un vero cristiano!”. Se non siete troppo stanchi ci chiediamo ora un po’ più da vicino, anche filosoficamente, pensando un po’, muovendo il cervello: “Che cosa è la misericordia? È un’ attitudine naturale o soprannaturale? È una cosa umana o è solo attitudine cristiana?”. Questo Nietzsche, filosofo tedesco che ha lottato tutta la sua vita con Dio e contro Dio, ha detto una frase terribile: “I deboli e i malriusciti devono perire! Questo è il primo principio del nostro amore per gli uomini. E a tale scopo si deve essere anche di aiuto per farli sparire. Che cosa è più nocivo di un qualsiasi vizio? La compassione, il cristianesimo!”. Questo dire ci pare esagerato, ma quando si vede l’onda in favore dell’eutanasia, oggi, è proprio la religione del più forte che si afferma: far sparire i deboli. La richiesta dell’eutanasia è l’esatta attuazione di ciò che Nietzsche chiama - per protesta contro il cristianesimo - “il primo principio del nostro amore per gli uomini”. La lotta per l’eutanasia è diventata, almeno in Europa, la lotta esemplare di questa falsa misericordia che non sopporta di vedere la sofferenza. Un mio collega di scuola, che è diventato medico, mi diceva: “A volte vengono nipoti a chiedere: dottore la nostra nonna soffre tanto, è tanto malata, con il cancro, ha molte sofferenze, dottore lei non può… aiutarla affinché finisca questa sofferenza?”. Allora lui risponde: “Ammazzate la nonna voi stessi!”. Subito è chiaro che cosa sia l’eutanasia: ammazzare! Si desidera una scusa, che lo faccia il medico “umanamente”. “Ammazzate voi la vostra nonna!”, ecco la verità! Altro esempio terribile: la sindrome di Down. Oggi si può fare la diagnosi già nel grembo materno non con certezza, ma con probabilità. Allora il medico dice alla mamma: “Il vostro bimbo forse ha la sindrome di Down”. Cosa vuol dire? Potete ammazzarlo se volete, abortite! E la povera mamma è sotto una pressione terribile. Hanno eliminato dalla nostra società due terzi dei bambini con la sindrome di Down. Due terzi di quei nascituri sono spariti. Perché? Non perché fossero guariti, ma perché sono stati ammazzati nel grembo materno. Questa è la triste misericordia della nostra società: ammazzare un amalato inguaribile. La misericordia di Gesù ha un altro fondamento. Esiste un fondamento naturale alla misericordia: abbiamo tutti un’attitudine naturale ad aver compassione dei sofferenti. Una mamma quando vede suo figlio ammalato ha compassione, è naturale. E diciamo spontaneamente che è inumano non aver compassione del proprio figlio. Ma d’altra parte questa compassione oggi non basta più. Perché c’e tanta pressione di un altro tipo di compassione, di falsa misericordia. Così tanta pressione che abbiamo bisogno di un vigoroso aiuto dall’alto. Perché il nemico, il diavolo, si nasconde dietro una falsa misericordia. Non per misericordia, ma per odio verso l’uomo. E per questo abbiamo bisogno della forza di Cristo. Non basta la forza naturale per abbracciare, come faceva Gesù, il lebbroso. Abbracciare un lebbroso è impossibile. Non distogliere gli occhi davanti alla miseria di tanti giovani che soffrono la lebbra della droga, dell’alcool è faticoso. Abbiamo bisogno di una forza più grande della sola forza naturale perché la natura respinge e si rifiuta di vedere troppo male. Vediamo ora la questione misericordia per tutti o solo per alcuni? C’e una parola scandalosa di Gesù, quando era a Nazaret, il suo villaggio natale, dove era cresciuto, e molti dei suoi concittadini aspettavano che facesse i miracoli. E Gesù disse: “C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato, se non Naaman il siro, il pagano”. La misericordia è per tutti, o solo per alcuni? Gesù non ha guarito tutti, tante volte ha guarito l’uno, l’altro. È un dilemma evidente. Ma c’è una risposta, e la vediamo qui. La misericordia non è astratta, Gesù non ci domanda di amare l’umanità, ma di amare il prossimo. E il Vangelo più evidente su questo è il Buon Samaritano. Gesù non ha chiesto che facciamo l’impossibile, non possiamo guarire tutte le ferite del mondo, ma possiamo vedere il prossimo che è caduto tra le mani dei briganti. Possiamo fare come i due chierici, il prete e il levita, che sono passati oltre o possiamo fare come il buon samaritano. Cosa vuol dire? Certo, anche la Comunità Cenacolo non può risolvere tutti i problemi della droga nel mondo. Vuol dire allora che lasciamo cadere tutto, che non c’e più niente da fare? No, la misericordia è concreta. I genitori con i loro figli, con la croce, la sofferenza, la pazienza, la preghiera possono risorgere. Non passare oltre a quel ferito lungo la strada: è questa la risposta di Gesù. E questa risposta ha un effetto molto concreto, è contagiosa perché, lo vedo qui concretamente con i miei occhi, è possibile rinascere, ricominciare a vivere. Allora è questa misericordia che voi tutti avete vissuto, sperimentato: è la misericordia di Gesù. E, ultima domanda, ma che cosa sarà di coloro che io non posso aiutare? La nostra risposta è: c’è il Signore! C’è il Signore! E possiamo avere fiducia che se siamo stati noi l’oggetto della misericordia di Gesù, Gesù non mancherà di misericordia anche per gli altri. Finisco con le novantanove pecore che il Buon Pastore lascia nel deserto, per andare a cercare la centesima perduta. A volte mi sono detto: “Questa attitudine del Buon Pastore è irresponsabile! Lasciare novantanove pecore per andare a cercarne una”. Ma questo ha un effetto stupendo. Se io sono, grazie a Dio, tra le novantanove e vedo che il Buon Pastore va a cercare la centesima pecora perduta, fino a trovarla e a riportarla all’ovile, posso dire a me stesso: “Se un giorno anche io sarò una pecora perduta, sono sicuro che questo pastore verrà a cercare e salvare anche me”. Questa è la buona notizia, è il Vangelo. Grazie per la pazienza di avermi ascoltato!
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