Sabato pomeriggio - Omelia di Padre Stefano (At 9, 1-19; Gv 15, 9-17) Ventinove anni fa Dio ha iniziato qui una bellissima storia di amicizia con noi. Tutta la storia della Bibbia è la storia dell’amicizia di Dio per l’uomo, dalle prime pagine della creazione, fino a quell’amicizia nuova ed eterna: quella di Gesù. In ogni Messa Gesù dà la vita per noi e rinnova questa alleanza d’amore. Ci dice: “Ti voglio bene da morire, da morire per te”. Abbiamo scelto alcune letture per illuminare con la luce della Parola di Dio il tema della Festa della Vita di quest’anno - che noi come Comunità Cenacolo normalmente iniziamo a gennaio con il compleanno di Madre Elvira, e terminiamo poi a dicembre - l’anno dell’amicizia vera: della riscoperta di questo tesoro prezioso, che Dio ha messo nel cuore di Madre Elvira, e che diventa dono per tutta la Comunità. Ricordo che agli inizi della Comunità, tanti di noi ragazzi in Madre Elvira hanno trovato innanzitutto un’amica vera, onesta davanti a Dio, sincera davanti al Suo cuore, e allora onesta e vera davanti al cuore dell’uomo, fatto a immagine di Dio. Le letture che abbiamo scelto con i fratelli sacerdoti per illuminare l’amicizia vera sono quelle che abbiamo ascoltato. La prima è la conversione di Paolo. È un brano bellissimo, di un nemico che diventa amico. Gesù va incontro a un nemico, e andandogli incontro lo fa diventare grande amico, quasi il suo migliore amico, uno a cui Gesù dirà delle cose importanti, che farà un’esperienza di Gesù unica, grandiosa. Abbiamo scelto questa lettura perché tanti di noi erano nemici: nemici della verità, di Dio, a volte della Chiesa, nemici dell’amore di Dio per noi. Che bello vedere che Gesù, come è andato incontro a Paolo, viene incontro a noi. “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per gli amici”. In verità c’è un amore più grande di questo: “Amate i vostri nemici”, fate diventare i nemici, amici. Il vostro amore che va incontro a chi ti sta andando contro: quell’amore è l’amicizia più vera. “Se amate quelli che vi amano, che merito ne avete?”, ha detto Gesù un giorno. Questo amore di Gesù è proprio quell’amore più grande, quell’unico amore che è capace di andare incontro a un nemico e di trasformare il suo cuore. Ieri sera il cardinale diceva: “Qui al Cenacolo avviene un miracolo: il lupo diventa l’agnello”: Gesù va incontro al lupo, come S. Francesco un giorno è andato incontro al lupo di Gubbio, e quel lupo di cui tutti avevano paura è diventato un agnellino docile e mansueto. Madre Elvira in fondo è venuta incontro a noi, e da alcuni di noi tutti avevano paura di venire. Andare incontro ad uno che sta andando contro tutto e contro tutti, non è cosi facile: devi avere nel cuore la forza di Dio, devi avere nel cuore qualcuno di più grande di te, perché se no, non vai incontro ad un nemico. Questa è la storia di Paolo, e la nostra storia. Questo brano è bellissimo perché descrive l’incontro di Gesù con Paolo che stava andando contro i cristiani a Damasco, in questo viaggio “contro”. Gesù viene incontro e Paolo fa una esperienza: lo avvolge una luce, cade a terra, sente una voce… Io penso che ognuno di noi, ragazzi e ragazze che siamo in Comunità, ma credo anche voi genitori, se riguardiamo un attimo il nostro pezzettino di storia, di amicizia di Dio per noi, ci accorgiamo che la luce di Gesù è arrivata tanto prima di quando noi l’abbiamo vista. Ci ha avvolto come un manto con la sua luce quando ancora eravamo nelle tenebre, ce ne siamo accorti quando siamo finiti a terra. Noi usiamo dire questo: “Bisogna toccare il fondo”. Finché non si tocca il fondo, ci diciamo tra di noi, non ti viene la voglia di risalire. La luce di Gesù che attendeva di entrare in noi ha potuto entrare quando ci siamo trovati come Paolo: per terra. Noi che ci pensavamo i più forti, i più furbi, i più grandi: “Io ci riesco, io ce la faccio da solo, io, io, io…” Ad un certo momento, lì per terra, disperati e tristi, abbiamo finalmente dovuto chiedere aiuto, accogliere l’aiuto di chi era vicino a noi, non eravamo più in grado di camminare da soli. Ed una voce: Paolo che era il forte e il condottiero, colui che fremeva – dice la lettura – contro tutti, si trova per terra. “Polvere sei e polvere ritornerai, ricòrdati, uomo!” Quando la Chiesa ci mette all’inizio della quaresima la cenere in testa, ci fa questo augurio di ricordarci che siamo terra. Paolo in quel momento riceve le sante Ceneri: “Ricòrdati, tu il condottiero, il forte, l’uomo grande, quello che fa paura a tutti, sei polvere, sei terra”. E quella Parola che Paolo combatteva, che voleva uccidere - uccidendo coloro che per quella Parola vivevano, i cristiani - gli parla. Pensiamo a quando in Comunità finalmente è venuto un momento in cui ci siamo trovati per terra, e finalmente la ascolti: quella Parola che hai sempre soffocato è più forte delle tue mani che la soffocano, ti parla: “Perché mi perseguiti ? Mi fai del male, facendoti del male e facendo del male!” Mi sembra che Gesù dice a Paolo queste parole, le dice a noi, non solo pensando al male che facciamo agli altri ma pensando al male che c’è dentro di noi. Vivere nel male è una persecuzione. Hai paura di tutto, ti senti osservato da tutti, vedi negli occhi di tutti il male che tu hai fatto e che pensi che nessuno sa. Sei un perseguitato, la menzogna ti perseguita, la verità ti libera. Quando vivi il male della menzogna e della falsità, quando stai andando contro la luce, tu non solo fai del male agli altri, ma fai del male a Gesù dentro di te. Fai del male a quella presenza viva di Dio che abita la nostra vita. “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” Pensate a quando la luce di Dio che ci ha avvolto è diventata finalmente voce della coscienza che ha parlato alla nostra vita: “Smettila di farti del male e smettila di fare del male”. Che bello vedere che la Parola di Dio mette un limite al male. Poi Gesù va da Anania e gli dice: “Anania, vai là, c’è uno in quella casa a cui tu devi imporre le mani!” Anania quando sente il nome di Saulo comincia a tremare. Dice: “Signore! Forse ti sei sbagliato. Quello là ne ha fatti fuori tanti e ha il mandato di uccidere chiunque osi dire il tuo Nome. Signore, non mi mandare al martirio”, gli dice Anania. “Perché mi mandi da un nemico?” È bello vedere che Gesù vuole avere bisogno di noi per fare diventare i nemici amici. E questa è la Comunità. È commovente vedere che l’opera che Gesù ha iniziato in noi con quella luce, con quella voce, con quella terra, in un certo senso la completiamo noi. Tutto quello che Gesù potrebbe fare senza di noi, lo vuole fare con noi. Questa è l’amicizia: non è fare tutto da soli ma è rendere partecipi i tuoi amici della gioia di fare il bene e di vedere i miracoli. Io penso che Madre Elvira oggi ha tanta gioia nel cuore quando contempla i miracoli di Dio perché in fondo il Buon Dio ha voluto avere bisogno di lei. Ha detto: “Elvira, vai dai drogati!” Non l’ha mandata a gente che già diceva il rosario e pregava giorno e notte. Quasi a dire anche lei: “Signore, ma sei proprio convinto? Chi sono io per andare lì? Non è che mi faranno la pelle?” Che bello vedere che la chiamata di Dio ti rende un “tu” che non sei più solo “tu”. C’è Dio dentro di te. Questo è grandioso. Ho visto Madre Elvira in tutti questi anni dire tante volte che proprio perché lei è venuta nel nome di Dio a noi, noi percepiamo che in lei non c’è solo lei. In Elvira, non c’è solo Elvira. Ed è per questo che non le rispondiamo quando ci rimprovera. Lei diceva: “Io non ho mai capito cosa è il carisma”. Mi ricordo che quando la Chiesa ha abbracciato il carisma della Comunità, ogni tanto mi diceva: “Ma questo carisma, cosa è?” Però poi mi diceva: “Forse il carisma è questo: che io, in tutti questi anni, ho detto delle cose con forza, come un terremoto, al cuore di giovani che prima non ascoltavano nessuno e a me hanno sempre ascoltato; a giovani che prima avrebbero risposto con rabbia e dinanzi a me non hanno mai risposto.” Ecco cosa è il carisma: ti accorgi che non sei tu che operi, ma per grazia di Dio, Dio ha voluto avere bisogno di te per fare qualcosa di bello e vuole rendere partecipe te, noi, di quel qualcosa di bello che Lui fa. Quello che vale per Elvira vale anche per noi ragazzi; quando sei chiamato a fare l’angelo custode, è Gesù che ti dice: “Vai da quello là, mettigli le mani in testa e i suoi occhi si apriranno.” È quello che il Signore ha detto a noi sacerdoti quando ci ha chiamati per mandarci. Gesù dice ad Anania: “Va’, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio Nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele. Lui dovrà soffrire tanto per il mio Nome”. Paolo che aveva fatto soffrire tanti per il Nome di Gesù dovrà soffrire tanto per quel Nome. Ecco un altro passo dell’amicizia vera. Pensate a quanti ragazzi, ragazze, genitori, amici abbiamo tradito, ingannato; abbiamo diviso e venduto loro la droga, la morte, abbiamo raccontato a loro menzogne senza fine, abbiamo a volte ucciso la vita. Ebbene, Gesù dice ad ognuno di noi: “Tu, che hai fatto soffrire tanti, adesso dovrai soffrire tanto per il bene!” E guardate che questo è proprio bello! Perché tu vedi che un ragazzo e una ragazza sono veramente uomini e donne nuovi non solo quando non fanno più il male, non si drogano più, ma quando sono capaci di cominciare a soffrire per il bene: quando soffri per essere amico, quando soffri perché un altro, un’altra vuole mollare e tu non molli, quando sei capace di soffrire tanto per quel bene, allora tu sei proprio un uomo nuovo. È bello che il Signore chieda a Paolo questo: “Tu che hai fatto soffrire tanti, ora sii capace di soffrire per il bene!” È grandioso questo, è la nostra possibilità, il nostro riscatto. Pensate a Paolo, che fierezza avrà vissuto dentro: lui che era un uomo fiero di combattere i cristiani diventa un uomo ancora più fiero di combattere per Gesù Cristo! Fiero di essere bastonato, incarcerato, picchiato, di essere lasciato solo, fiero di soffrire per il bene. Questa è la nostra chiamata, ed è riscatto. Penso che Paolo fosse tanto fiero perché in fondo sentiva che ad ogni sofferenza per il bene sanava il male che aveva fatto e riscattava se stesso, ritrovava la sua dignità di uomo. Che bello quando dei ragazzi e delle ragazze, terminato il cammino, dicono: “Io resto per amore, per soffrire per gli altri; io vado in missione per amare, servire, soffrire a volte, ma per il bene”. Ti riscatti come uomo e diventi missionario del Vangelo. Anania va ed è straordinario il momento in cui entra nella casa di Paolo. Paolo era rimasto tre giorni a digiuno, senza mangiare né bere, cieco, non ci vedeva più. Lui che guidava tutti deve dare la mano e farsi guidare. Tre giorni di risurrezione. È la risurrezione di Paolo questa: abbiamo bisogno di un cammino per passare dalle tenebre alla luce, un cammino di umiltà: làsciati guidare, làsciati condurre, sèguimi! La vita cristiana è lasciarsi guidare. Paolo risorge dopo tre giorni, attraverso le mani di Anania. Questa è proprio l’amicizia e la tenerezza di Dio. Noi risorgiamo grazie all’amicizia e all’amore dei fratelli e delle sorelle, dei genitori che ci accolgono disperati. Anania entra e dice a Paolo: “Fratello mio!” È la Chiesa che dice ad uno che era nemico: “Tu sei mio fratello, non sei più mio nemico. Io ti tendo la mano”. È Madre Elvira che nel Nome di Dio ci ha teso la mano e ci ha detto: “Fratello, sorella mia, torna a vedere!” Ed è quello che ognuno di noi è chiamato a vivere. Quando un ragazzo o una ragazza, per terra, si lascia finalmente guidare dalla voce dalla coscienza e arriva in Comunità; o famiglie disperate arrivano al gruppo; tu ti accosti a loro e dici: “Fratello mio, mi ha mandato da te il Signore Gesù!” Che bello anche questo. Pensate: chi ha mandato Elvira a noi? Non si è mandata da sola! Chi ha mandato noi sacerdoti ad annunciare al popolo di Dio? Chi manderà domani Eugenio e Michel a predicare, ad annunciare il Vangelo ad ogni creatura? Chi manda noi, ragazzi e ragazze, ad amare altri ragazzi e ragazze? “Mi ha mandato a te il Signore Gesù!” Se no, non ci sarei mai venuto! Elvira stava tanto bene in quella cucina dove, Maria Pia ci diceva ieri, all’ospedale Mauriziano di Torino girava le pentole di patate. Cucinava per i malati, le suore… Era una suora felice, non era una suora depressa, in crisi vocazionale. Era felicemente innamorata e sposata con il figlio del carpentiere di Nazaret, di Nome Gesù, una sposa felice. Eppure quello sposo ad un certo momento l’ha mandata a noi. Ed è proprio Lui che l’ha mandata e sapete quale è la certezza? Che proprio le persone che la conoscevano in quel momento, anche coloro che avevano la responsabilità del suo cammino di fede le dicevano: “Ma come fai ad andare da quei giovani lì? Ma tu che non hai studiato psicologia, non conosci il mondo dei giovani…” Elvira quando ce lo racconta ci dice: “È tutto vero, era proprio così!” Ma allora è ancora più vero che l’ha mandata a noi il Signore Gesù. In fondo è anche una verifica: se ti manda Gesù, il fuoco non si spegne. Anche se li buttano idranti di acqua e vengono i pompieri di tutto il Piemonte con idranti aperti per spegnere il fuoco. Se quel fuoco viene da Dio, non si spegne. Allora, benedetti a volte anche gli ostacoli alle nostre intuizioni, quello che ci sembra nel Nome di Dio nasca in noi, perché se è nel Nome di Dio si compie. Basta aspettare e credere e l’ora di Dio, quando è la sua ora, avviene. E l’ora è avvenuta, il 16 luglio 1983. Quel giorno e a quell’ora lì, finalmente, Madre Elvira è salita su questa collina e nel cuore sapeva che qui non si era mandata da sola: qualcun altro l’aveva mandata. E oggi noi siamo la testimonianza di questo. Lo dico con tanta umiltà, non per orgoglio, ma con tanta gratitudine a Dio. È perché lei è stata mandata nel nome di Gesù Cristo nel fango del mondo e nella spazzatura dove noi vivevamo, che noi oggi possiamo ritornare a riavere la dignità dei figli di Dio. Anania mette le mani in testa a Paolo e gli dice: “Mi ha mandato a te il Signore Gesù perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo”. “Improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Fu subito battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono”. Come un ragazzo che entra in Comunità, Paolo era cieco e senza forze. Quando arriviamo in Comunità pensiamo di vedere ma vediamo buio e nero. L’altra sera Marco raccontava: una sera un ragazzo, dopo tanti anni, mentre camminava, dopo un mese o due che era in Comunità ha alzato gli occhi e si è ricordato di nuovo che c’erano le stelle. Erano anni, anni che le stelle c’erano, il sole c’era, i fiori, il volto degli altri c’erano ma tu non lo vedevi più. Le tenebre, il peccato ti rendono cieco. Le squame cadono dagli occhi e finalmente ritorni a vedere. C’è da ringraziare tanto il Signore perché pensate un po’ quante squame sono cadute dagli occhi. Montagne. Occhi ritornati a vedere la luce. Ognuno di noi, ognuno di voi genitori, quante squame avevamo sugli occhi. Èun cammino di recupero degli occhi del cuore, un cammino di fede che ti riapre poco a poco gli occhi e vedi sempre di più. “Fu subito battezzato”. Che bello questo sacramento che ci rende tutti figli di Dio e rende ognuno di noi Chiesa, responsabile della vita degli altri, della fede degli altri. Paolo viene battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono. “Prese cibo”. Quando sono entrato io in Comunità, i ragazzi entravano così tanto a pezzi anche fisicamente che avevamo dovuto mettere limiti alle fette di pane: due fette a colazione. E allora poi chi era di colazione tagliava il pane per lungo. Trovavi delle fette grandi come le bistecche fiorentine. Il fisico era proprio snervato, senza più forze. La droga ti distrugge il fisico ma ti distrugge molto di più lo spirito. Il fisico si recupera presto ma lo spirito è denutrito da una vita intera. Allora c’è bisogno di un altro cibo, e che dono grande che Dio ha messo nel cuore di Elvira di proporci non solo la tavola del refettorio. “Prese cibo e le forze gli ritornarono”. Pensate quanta forza è ritornata in noi stando in ginocchio davanti all’Eucaristia, pregando: ecco il cibo, il nutrimento dello spirito, della vita di dentro, quando ricominci a nutrirti del corpo di Cristo nell’Eucaristia. Dopo i primi mesi fai una bella confessione, ti ripulisci la coscienza e ti nutri di nuovo del Corpo di Cristo. Questa è la nostra storia della nostra vita. Una luce, una voce, per terra; degli amici mandati da Dio nel Nome suo ci hanno presi per mano e ci hanno detto: “Fratello, sorella mia, torna a vedere”. Ed allora non possiamo che finire con le parole del salmo che abbiamo voluto cantare, questo ritornello che Madre Elvira all’inizio della casa di formazione faceva cantare e ricantare alle sorelle: “Alzati, amica mia, alzati, sorella mia, alzati mia sposa e vieni!” Pensate Gesù con che tenerezza e con che gioia lo avrà detto all’anima di Paolo, alla sua vita di dentro. Avrà guardato quel Paolo per terra e avrà detto alla sua anima, alla sua coscienza, alla sua vita di dentro: “Alzati, adesso sei amica mia, non sei più nemica”. Il Signore oggi lo dice ad ognuno di noi, amico o nemico: “Alzati amico, amica mia, alzati mio sposo, mia sposa e vieni, l’inverno è finito, la primavera sboccia.” Benediciamo il Signore perché qui da ventinove anni l’inverno del nostro cuore torna a essere una primavera senza fine. Amen! Alleluia!
|