Domenica - omelia di Mons. Giuseppe Guerrini Nel brano del vangelo che è stato proclamato abbiamo ascoltato: "Gesù chiamò a sé i dodici, prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri". È partito tutto da lì. Certo, poi ci sarà l'invio definitivo prima dell'ascensione, ci sarà in particolare l'esperienza della Pentecoste, ma tutto inizia da lì. Noi celebriamo la Festa della Vita. Questa ordinazione a presbiteri di don Michele e don Eugenio, proprio perché i dodici hanno cominciato ad annunciare, a comunicare l'esperienza straordinaria che avevano fatto, quell'incontro che aveva sconvolto la loro vita. E noi ci mettiamo su questa scia, e la Parola di Dio proclamata ci offre elementi di meditazione che vorrei raccogliere in cinque parole chiave.
La prima parola è “fede”. Alla base deve esserci un'esperienza forte. L'abbiamo ascoltata nella vicenda di questi due fratelli candidati al presbiterato, ma è un po' la vicenda di tutti, è stata la vicenda di Amos. "Non sono un profeta di mestiere, non faccio questo per guadagnarmi la vita, il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge, il Signore mi disse: va', profetizza al mio popolo Israele". Deve esserci un incontro tra la concretezza della mia vita, quindi le mie aspirazioni i miei bisogni, la mia sensibilità, e la concretezza della Sua vita, della Sua Parola, del Suo Spirito. Un incontro che deve essere percepito come risolutivo, illuminante, guaritore. L'invio dei dodici in questa pagina del Vangelo viene subito dopo quella che abbiamo ascoltato domenica scorsa, la pagina dell'accoglienza fredda da parte dei suoi parenti e concittadini: "«Ma di dove gli vengono queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo". Posso vedere in Lui il Salvatore ma posso anche passargli accanto senza il minimo coinvolgimento. Alla base sta quindi un'esperienza di fede: ci credo, ci sto, mi convince. È l'esperienza di fondo della vita cristiana, è quello che sorregge questa Comunità Cenacolo. E voi, Michel ed Eugenio, siete qui perché avete fatto questa esperienza, avete detto: "Ci sto, ci credo, mi convince e metto la mia vita a servizio di questa fede, di questa esperienza".
Seconda parola. È una testimonianza, questa, basata non sulla forza dei mezzi, non sulla capacità organizzativa, ma basata sulla forza dell'annuncio. "Ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone, né pane, nè sacca, nè denaro nella cintura". Ancora domenica scorsa nella seconda lettura ci era presentato un brano di una lettera di san Paolo che dava la ragione profonda di queste parole: "Ti basta la mia grazia". Il resto viene meno, il resto non conta. Ecco allora questa fede vissuta nella povertà, cioè nella sobrietà, nell'essenzialità. “Povertà” significa cercare quello che conta, quello che rimane, quello che è essenziale, perché è Lui che guarisce, è Lui che apre alla speranza, è Lui che apre i cuori all'amore. E allora il vostro ministero, come il ministero di tutta la Chiesa, deve essere un ministero basato sulla convinzione che non è la nostra intraprendenza, la nostra intelligenza, la nostra capacità organizzativa che conta, ma il suo dono, la forza della sua Parola, la forza della fede.
Questa fede nel Signore ha sempre una dimensione comunitaria: "Li mandò a due a due". Come dire che non è un'iniziativa di un singolo ma c'è sempre una dimensione di comunione, di condivisione, di fratellanza; che non si è esploratori solitari, non si è mai soli. La terza parola chiave quindi è "comunità", che per noi è la comunità della Chiesa perché non si tratta solamente di una comunità raccolta attorno a dei valori condivisi, a un sostenersi a vicenda, a un camminare insieme, che è importante, ma quello che ci qualifica è l'essere chiamati dal Signore, è la sua presenza in mezzo a noi, è l'esperienza di convocazione. Noi la diciamo "Chiesa", l'esperienza di Chiesa, comunità convocata da Dio. Il rito dell'ordinazione presbiterale sottolinea con forza questa dimensione ecclesiale. Don Michel e don Eugenio sono al servizio della comunità cristiana, uniti al vescovo di questa Chiesa di Saluzzo come ai vescovi di tutte le chiese particolari in cui presteranno servizio, il servizio della Parola e dei Sacramenti. Questo tessuto di comunione è costituito dall'intreccio di fili: il filo della fede, della disponibilità, della povertà, del servizio, dell'obbedienza. È questo intreccio di fili che deve essere a fondamento della vostra vita.
E tutto questo lo dico con una quarta parola che abbiamo incontrato in particolare nel brano della lettera di san Paolo agli Efesini. È una parola splendida del nostro vocabolario cristiano: la parola "grazia". Tutto questo è dono gratuito e nell'inno di san Paolo con una ricchezza sbalorditiva di immagini si dice che tutto è grazia, perché tutto rientra nel progetto di Dio. "In Cristo siamo stati benedetti con ogni benedizione, siamo stati scelti, predestinati", cioè destinati da sempre ad essere suoi figli adottivi, "secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l'ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza per ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose". Ecco il senso del vostro ministero, il senso della Chiesa, il senso di ogni vita cristiana: ricondurre anzitutto la nostra vita a Cristo capo, cioè trovare in lui, in Cristo Signore, il senso della vita, la pienezza della nostra libertà. È una prospettiva esaltante che non è solamente un augurio, ma di cui abbiamo già una caparra attraverso il dono dello Spirito, è grazia che abbiamo già ricevuto nel Battesimo, nella Confermazione, nell'Eucaristia, negli altri Sacramenti. È la grazia che ora Michel ed Eugenio riceverete attraverso l'imposizione delle mani e la preghiera. Tra poco pregherò così per voi: "Effondi la benedizione dello Spirito Santo e la potenza della grazia sacerdotale su questi tuoi figli. Noi li presentiamo a te, Dio di misericordia, perché siano consacrati e ricevano l'inesauribile ricchezza del tuo dono". Essere preti è anzitutto questo: dono, grazia. Certo, è anche un compito, è anche un servizio, un ministero, ma anzitutto è grazia e solo in questa prospettiva si vince la tentazione dell'autoriferimento, della presunzione, della superbia.
L'ultima parola che vorrei richiamare è lo slogan di questa Festa della Vita: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". La parola “amore” è una parola impegnativa, oggi forse anche logorata dall'uso; eppure è il centro, è il motore di tutto. Ogni volta che celebriamo l'Eucaristia noi esprimiamo questa certezza: "questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi, questo è il calice del mio sangue versato per voi e per tutti, fate questo in memoria di me". Michel ed Eugenio, sarete chiamati a dire, a celebrare questo amore che dà tutto, a testimoniare l'amicizia, la "divina ternura" a cui si faceva riferimento prima, la tenerezza, l'amicizia di un Dio che non ci lascia soli. La nostra preghiera è che questo amore che celebrerete nell'Eucaristia, che annuncerete, che testimonierete, contagi tutta la vostra vita, vi renda davvero ministri della tenerezza di Dio.
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