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Le Palme

Di questa lunga Passione di Gesù traiamo alcune riflessioni per la nostra Settimana Santa.
La prima è la povertà umana. Ci sono tanti personaggi che compaiono vicino a Gesù; cosa li accomuna tutti è la miseria umana. È misero Pilato che si lava le mani e non prova compassione di fronte a quell’uomo, ma sono altrettanto miseri i sacerdoti: per l’invidia lo consegnano alla morte. È misero Giuda, che è un “poveraccio”, tradisce Gesù e non sa neanche lui perché. Ma è misero anche Pietro che lo tradisce in un altro modo, e pensate, è stato il primo Papa, eppure oggi è un “poveraccio” anche lui. Sono miseri i soldati, gente che faceva le cose per i soldi. Ma è misera anche la folla di Gerusalemme, quelli che una settimana prima cantava “Osanna al Figlio di Davide” ed oggi urla “… sia crocifisso!”. C’è tanta miseria umana di fronte alla Passione di Gesù, perché quella passione è il volto umano della misericordia di Dio. E quando il Suo amore infinito illumina la nostra vita, noi scopriamo di essere proprio poveri, poveri: c’è un abisso di miseria, di meschinità, di pochezza di fronte a tanto amore! Ma la cosa bella è che di fronte a questo abisso, siamo tutti fratelli. Non c’è nessuno che può dirsi meglio degli altri. Pietro è come Giuda, Pilato è come i sacerdoti, la folla come i soldati: siamo tutti uguali. Madre Elvira ci ha sempre detto: “Quando siete arrivati in Comunità, che cosa avete portato? La vostra carriola di letame”, cioè, il peccato, “e l’avete messo nel mucchio! Questo vi ha resi fratelli”. La nostra povertà ci fa tutti più ricchi: ricchi dell’amore di Dio, ma anche ricchi dell’amore e dell’amicizia dei nostri fratelli. Anche tra di noi, è tanto importante che nasca questo essere fratelli nella povertà. Quanto bene fa quando uno di noi chiede perdono, si rende conto della sua miseria e la condivide in pubblico; quanto bene fa quando ci sveliamo per quello che siamo di fronte agli altri, senza più paure. Questo scatena una forza immensa, perché lì, Dio è vivo in mezzo a noi: Gesù ci abbraccia ci dice: “Perdònalo”, perdònala”, e ci fa fare tanta festa insieme. Quando siamo miseri, di fronte alla misericordia, lì nasce la Risurrezione, si scatena qualcosa che nessuno può fermare. È la festa dell’amore di Dio, che è più forte del nostro peccato. Madre Elvira, nei primi tempi della Comunità, ci diceva: “Il vostro peccato è il mio peccato” e noi pensavamo: “Ma lei non si è drogata! Lei non ha fatto gli sbagli che abbiamo fatto noi …” eppure, come mai lei sentiva il nostro peccato come il suo? Perché quando sei di fronte all’amore di Dio non conta quello che hai fatto, ma conta quello che sei dentro. E tra il fare male a una persona fisicamente e il giudicarla, cambia poco; tra l’averne fatte di tutti i colori e l’averlo solo pensato, cambia poco. Ogni peccato ci ha fatto tanto male. Il Signore Gesù con la sua misericordia ce lo illumina, perché noi possiamo liberarcene. Del peccato pubblico, ma anche del peccato privato, che tante volte è lì insinuato in un angolino e fai fatica a togliertelo. La misericordia di Dio ci svela la nostra miseria, perché noi liberandocene facciamo festa alla nostra vita, la abbracciamo, e diciamo: “Ti voglio bene, vita mia!” e poi facciamo festa al nostro vicino, al nostro sposo, alla nostra sposa, a nostro figlio.
La seconda cosa toccante è lo svuotamento di Gesù. Di fronte alla cattiveria umana, Gesù “si svuota”; San Paolo ci dice: “Cristo Gesù … svuotò se stesso assumendo una condizione di servo … umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”. Già tutte le parole che Gesù pronuncia nella Passione sono uno svuotarsi perché sono per noi. Gesù si dona a noi, dice le parole della consacrazione dell’Eucarestia, e grazie a quelle noi siamo vivi ancora oggi e Lui è presente in mezzo a noi. Dice le parole del Getzèmani, con cui si abbandona al Padre, con cui abbraccia la sua vita anche nella croce. Dice parole di amore e di perdono anche a chi lo tradisce: saluta Giuda chiamandolo “Amico”, scagiona la folla e i suoi discepoli dicendo loro “Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti”…  “Tutto quello che sta accadendo è perché l’amore, per abbracciarvi fino in fondo, deve saper morire in croce per voi!”. Il più grande svuotamento è il silenzio di Gesù. La Comunità ci ha insegnato che la parola più potente di fronte alla cattiveria umana, di fronte all’attacco del male, è il silenzio. Nelle famiglie, tra noi giovani, quando si scatena il male del nostro passato e ci giudichiamo, oppure tra di voi genitori, con i colleghi … il silenzio spiazza. Persino Pilato, che era un pagano senza fede, di fronte al silenzio di Gesù, dice il Vangelo, “rimase assai stupito”. Quel silenzio lo sconvolge dentro perché Il silenzio è uno svuotarsi per amore.
Il terzo grande svuotamento di Gesù sono le ultime frasi che pronuncia in croce. Gesù dice: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. La presenza del Padre era in fondo l’unica “ricchezza” che era rimasta a Gesù. Gesù non aveva più niente, aveva solo il Padre, e infatti quando muore emette quel grande urlo, che alcuni studiosi dicono fosse “Abbà!”, il nome del Padre suo; l’ha urlato con tutto se stesso, e poi è morto. Gesù rinuncia persino a sentirsi amato da Dio, perché sa che noi, a un certo punto della vita, ci siamo sentiti tutti “maledetti” e abbandonati. Chi di noi non ha mai detto: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. I giovani persi per le strade l’hanno detto; penso che anche voi, nelle mura delle vostre case, abbiate detto: “Dio mio, perché non salvi la vita di mio figlio, la mia famiglia, perché mi hai abbandonato?”. Gesù l’ha voluto vivere, perché ha voluto esserci vicino anche in quella notte di dolore; quando ci siamo sentiti abbandonati, con noi c’era un uomo che quell’esperienza l’aveva fatta prima di noi e per noi: Gesù di Nazareth. Lui era presente, perché adesso possiamo sapere che non eravamo soli, ma eravamo amati, capiti, e già in cammino verso la Risurrezione.
L’ultima cosa, la più bella, della liturgia di oggi, è che in quella morte di Gesù c’è già la potenza della Risurrezione, dell’amore di Dio che risorge.  In Quaresima abbiamo il dono di vivere la Via Crucis tutti i venerdì. Tutto quel dolore che Gesù porta nelle prime undici stazioni sembra non finire mai: non smette mai di cadere, di lottare, tanti gli fanno del male. Quando Gesù muore sembra un sollievo: finalmente ha smesso di soffrire.  Ma il Vangelo va oltre, ci dice che “… le rocce si spezzarono … i sepolcri si aprirono … i corpi dei santi resuscitarono … e apparvero a molti”. La morte di Gesù per amore vuol dire che l’amore ha vinto, che l’amore non è morto: è rimasto in quell’uomo, e l’amore è stata la sua ultima scelta come in tutta la sua vita. Lui l’ha fatto per ciascuno di noi. Pensate a quante rocce avevamo sul cuore, quanti strati di dolore che si erano induriti sopra la nostra sensibilità. L’amore di Gesù li spezza e i sepolcri si aprono. Anche noi eravamo sepolti: da questa chiesa dobbiamo partire e risorgere e “apparire a molti”. Qualcuno vi chiederà: “… ma tu, non avevi un figlio tossico?”, e tu rispondi: “… effettivamente sì, ma adesso è risorto, e non mi importa più niente! Ho incontrato la fede, che mi ha detto che quell’uomo è risorto; non sono più schiavo di quella morte, non sono più solo in quella Passione,  perché Lui è risorto e ha fatto risorgere anche me”. È per questo che siamo qui: non per contemplare un morto, ma per aspettare un risorto; non è per accusarci delle ferite che abbiamo nel cuore, ma per metterle insieme nel cuore di Gesù, e camminare verso la Risurrezione.
In tutto questo ci accompagna la Madonna. In quel Calvario era presente, anche se non compare nel Vangelo che abbiamo letto, perché era silenziosa, amante, sofferente, ma piena di vita, piena di speranza, e quando Gesù è morto, dopo tutto quel dolore, gli ha detto: “Figlio mio, adesso risorgi, e vai! Adesso non ti ferma più nessuno; adesso sarai il senso, la forza della vita di tutti”. La Madonna oggi ci ha chiamati qui, e ci mette nel cuore di suo Figlio risorto. Lo incontreremo nell’Eucarestia, e sarà Pasqua, già da oggi, e per sempre.

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