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Per conoscerci di più

S.E.R. Mons. Diego Bona  |  S.E.R. Mons. Robert Baker  |  Padre Andrea Gasparino  | 

Troverete in questa sezione alcune interviste già pubblicate

(a Madre Elvira e ad alcuni amici "speciali" nel cammino della Comunità) 

che ci aiutano a comprendere meglio la storia della Comunità

e di come si è sviluppato il carisma in questi anni.

 

Madre Elvira, rivolgendo lo sguardo al passato e ripensando alla tua vita donata, cosa ti viene da dirci?

Innanzitutto un grande grazie a Colui che ha voluto la mia vita. Credo proprio che già nel momento in cui papà e mamma mi hanno concepito ci fosse la volontà di Dio per qualcosa di bello, grande e fruttuoso per gli altri. Sono felice di vivere una vita donata e sento che è un arricchimento anzitutto per me: sono ricca perché sin da bambina i sacrifici mi hanno insegnato a donarmi, a servire, a sorridere, a superare le difficoltà senza il “broncio” e sono felice di trovarmi ancora oggi alla scuola del servizio.

 

Pensando alla vicenda familiare che hai vissuto, cosa vorresti comunicarci oggi di quella storia, alla Luce del Dio che hai incontrato?

Pensando a quando ero bambina e alle situazioni vissute, oggi posso dire che è stata una bella storia proprio perché costellata da tante ombre. Vedevo infatti che c’erano altre famiglie, altre bambine come me, che però vivevano un’altra realtà, che mi sembrava più ricca di pace e di benessere della mia. Poi mi sono resa conto che la pace e il benessere veri sono una dimensione del cuore, si vivono quando si è buoni, generosi. Ricordo un ritornello che mia madre mi ripeteva ogni volta che mi trovavo in compagnia delle mie amiche, che avevano la mia stessa età e che erano molto più agiate e più benestanti di noi. Quando avevamo in casa un pezzo di pane, e ai tempi della guerra non era facile per noi averlo, o quando c’erano le ciliegie,  “mammà” mi diceva:  “Ricordati Rita che le bocche sono tutte sorelle! E tu non puoi metter in bocca qualcosa senza farne dono alle altre”. Seppur nel disagio della povertà, ci educava comunque a dei gesti di solidarietà che dicevano già famiglia: è quando si dà agli altri che diventiamo quella famiglia universale che assieme può pregare: “Padre Nostro”.

 

Come è nata l’idea di dare vita alla Comunità?

Non è stata sicuramente una mia idea, e questo lo voglio dire e ribadire: ciò che sta accadendo, la storia che stiamo vivendo non può nascere dalle idee o dalle intuizioni di un povero essere umano. Sono la prima a sorprendermi tutti i momenti di quello che sta avvenendo in questa Comunità, che è opera di Dio, dello Spirito Santo, di Maria: come avrei potuto io inventare una storia così? La direzione del mio cuore erano i giovani che si perdevano: li vedevo “senza pastore”, senza punti di riferimento, allo sbaraglio, con tanto benessere, i soldi in tasca, la macchina, la cultura, con tutto quello che si sarebbe potuto dare loro di materiale, eppure tristi e morti nel cuore. In me c’è stata l’”agonia” dello stare in attesa per partorire ciò che lo Spirito Santo stava plasmando e sviluppando dentro di me, che era una novità  anche per me.

 

Sono passati poi ancora tanti anni prima di poter dare vita concretamente alla Comunità. Per te che sei una donna coraggiosa e di azione, è stato difficile aspettare?

Non è stato difficile, piuttosto è stato sofferto, perché mi sembrava di perdere tempo. In realtà era il tempo di Dio ed io dovevo attendere il momento opportuno per i giovani, per proteggerli, educarli, amarli. Ho aspettato con tanta fiducia e speranza. C’era anche qualcuno che diceva: “Ma Elvira, perché non esci dalla tua Congregazione, così puoi fare quello che vuoi!”. Ma io non intendevo “fare quello che volevo”, era ben altro ciò che stava avvenendo in me. Per questo ho aspettato, pregato, sofferto, amato, e i superiori avevano ragione quando mi dicevano che non ero preparata per andare in mezzo ai giovani. Non sono mancati i momenti di tentazione, quando mi veniva da pensare: “Ma come mai, perché non hanno fiducia?”. Ma poi mi sono detta: “In fondo, perché dovrebbero avere fiducia di me, che sono una povera creatura che vuole volare...”. Adesso, a settant’anni ragiono un po’ di più e capisco che tutto questo è stata una benedizione, sono state le doglie del parto. Oggi con i miei superiori sono molto legata, siamo amici e tante suore si stupiscono insieme a me proprio perché mi conoscono, e quindi capiscono che questo viene da Dio.

Da tanti anni inoltre le suore di Santa Giovanna Antida Thouret ospitano una fraternità del Cenacolo nel convento dove io sono stata accolta in noviziato, e le ringrazio per l’amicizia, l’amore e la generosità che ci dimostrano.

 

Quando sei arrivata per la prima volta al cancello della casa di Saluzzo,
il 16 luglio del 1983, cosa hai pensato?

Non ho pensato nulla, in quel tempo non pensavo proprio. Non mi ricordo di aver programmato niente, né nella testa né tanto meno sulla carta e neppure con la fretta. Quando ho visto quel cancello ho tirato un grande sospiro di gioia; mi ricordo che le viscere hanno danzato! È esplosa improvvisa una pienezza di vita dentro di me: era la gioia conquistata tra la lunga attesa ed il momento in cui il desiderio si stava realizzando. Coloro che mi accompagnavano si misero le mani in testa nel vedere la desolazione e l’abbandono del luogo, ma io lo vedevo già ricostruito, pieno di giovani, di vita, di gioia, proprio come è oggi. Perché hai scelto il nome “Comunità Cenacolo”?

Ci fu con noi per un breve tempo un sacerdote che era venuto a vivere un po’ con i giovani. Lui ha lanciato questo nome e io l’ho accettato, perché i consigli che mi davano li accoglievo, e poi facevo quello che voleva il Signore. Ho subito pensato alla Chiesa, agli Apostoli radunati con Maria nel Cenacolo, chiusi e pieni di paura dopo la morte di Gesù. Per me è stata una profezia perché anche i ragazzi e le ragazze che arrivano da noi hanno tante paure, tante chiusure, tanto mutismo nel pensiero e nella parola, tanta solitudine e inquietudine nel cuore.

Ma poi nel Cenacolo con Maria arriva lo Spirito Santo e gli Apostoli si trasformano in testimoni coraggiosi. Allora ho visto che era proprio il nome che rappresentava al meglio ciò che vogliamo essere.

 

Hai iniziato dal nulla, senza soldi, senza sicurezze umane, fidandoti della Provvidenza. Perché hai fatto questa scelta e chi è questa “Signora Provvidenza”?

Questa “Signora Provvidenza” è il cuore di Dio che bussa al cuore dell’uomo, al cuore dell’umanità. Ci siamo fidati perché la fede ci portava a non avere paura, a coltivare la speranza, la fiducia e la pazienza, a riporre la sicurezza in quel Dio che conoscevo nel cuore. Mi garantiva molto di più Lui di tutte le sicurezze umane.

Quel Dio che è Padre lo avevo scoperto quando ancora ero bambina, e lì ho imparato a fidarmi di Lui, quando la povertà era più cruda, nel senso che non c’era niente, e sentivo mia madre ripetere spesso una litania: “Santa Croce di Dio, non ci abbandonare!”. Nessuno vorrebbe soffrire ed invece lì ho capito quanto è importante nella vita imparare a vivere la croce, perché lei è nostra madre, e noi dobbiamo amarla per vivere bene tutto il resto.

Ho voluto che anche i giovani che accoglievo potessero non solo sentire parlare di Dio, ma vedere la sua paternità concreta. Ho detto a Lui: “Io li accolgo, e Tu dimostra loro che Padre sei!”. Non ci ha mai, mai deluso!

 

Cosa ricordi degli inizi, dei primi tempi?

Ho incominciato senza una preparazione particolare sui drogati e sugli alcolizzati. All’inizio sapevo che tutte le comunità davano dieci sigarette e le abbiamo date anche noi; poi qualcuno mi ha detto: “Sono uomini, bisogna che bevano un bicchiere di vino” e così glielo abbiamo dato, ma poi tutto questo creava discordie, screzi, e io ne ero stupita. Mi sono messa in ascolto della vita dei giovani che accoglievamo, che sono stati i miei maestri: loro mi hanno insegnato, passo dopo passo, quale era il loro vero bene. Ho sentito che l’autorità che il Signore mi aveva dato per questi giovani dovevo esercitarla con verità e con fortezza. C’è un particolare importante che ricordo: nel 1986, durante un pellegrinaggio mariano, ho percepito dentro che dovevo essere più forte, più esigente, e così tornando una sera mi sono inginocchiata nella cappella di Saluzzo davanti ai giovani e ho detto: “Ragazzi vi ho tradito perché non ho avuto fiducia in voi. Siete venuti per essere aiutati a vivere la vera libertà da tutte le dipendenze e io, per paura che ve ne andaste, vi ho lasciato le sigarette. Da questa sera non si fuma più!”. Poi ho chiamato un ragazzo che è passato a raccogliere le sigarette ed ho visto, con tanto stupore e gioia, che tutti hanno messo la mano in tasca e le hanno buttate. Abbiamo fatto un bel falò cantando e pregando e via, liberi anche da quella dipendenza.

 

Pensavi ad uno sviluppo così grande dell’opera quando è nata?

Non lo penso neanche adesso, è qualcosa di più grande di me. Io pensavo di aprire una casa, e quindi quando se ne sarebbe andato via uno, ne avremmo preso un altro. Però quando la Casa Madre era strapiena, con i materassi per terra, ad un certo momento non li ho potuti mandare via, perché chiedevano la vita, non da mangiare o da dormire, ma di poter vivere! Allora abbiamo trovato un’altra casa e poi un’altra, e poi… non le conto più.

 

Come sei riuscita a convincere dei ragazzi che venivano dalla “strada” a pregare? Perché hai proposto loro la fede?

Veramente non gliel’ho proposta con le labbra, ma nella pratica, vivendo la preghiera. Non avevamo ancora la cappella quando sono cominciati ad arrivare. Insieme alle prime mie collaboratrici dicevamo il Rosario e pregavamo il Breviario prima della sveglia. È stata una grande sorpresa quando un ragazzo, prima di andare a lavorare, al mattino presto si è alzato prima della sveglia e si seduto vicino a me e mi ha detto: “Cosa fate?”, “Preghiamo!”. Si è fermato e c’era un Salmo che stavamo pregando e così anche lui ha letto una frase, e dopo di lui un altro, poi un altro e poi un altro ancora si sono unti a noi per la preghiera.

Noi non ci avevamo pensato, ma lì ho capito che i giovani mi chiedevano di incontrare Dio, che avevano fame e sete di Lui, e così la proposta della preghiera e della fede è diventata la parte fondamentale del cammino di rinascita.

Quando entrano in Comunità, tanti di loro mi dicono: “Ma io non credo in Gesù, a casa mia si litigava sempre e io non voglio pregare!”. Ed io rispondo loro: “Tu sei venuto qui per essere liberato non solo dalla droga, ma dalle tue paure e da tutto il tuo passato. Tu inginocchiati: io, noi crediamo per te, mettiamo la nostra fede anche per te. Prova a fidarti, prova e vedrai”.

 

Perché hai voluto da subito coinvolgere nel cammino dei figli anche le loro famiglie? Cosa chiedi alle famiglie dei giovani?

Questo è importantissimo. Chiedo loro veramente tanto, chiedo la conversione! Loro quasi sempre preferirebbero pagare una retta, soprattutto quando sono disperati; tutti ci offrivano dei soldi e noi rispondevamo: “La vita dei figli non si paga con i soldi, di soldi i vostri figli ne hanno già avuti troppi, e si sono rovinati!. Noi vogliamo invece una collaborazione che coinvolga le vostre vite, le vostre scelte, i vostri passi quotidiani, in un percorso di fede cristiana, perché entrando la verità nella vostra famiglia anche voi comprendiate che qualcosa lo avete sbagliato, che c’è stato un fallimento di tutta la famiglia, che vostro figlio si salva soltanto se si convertono i suoi genitori".

 

Cosa fa nascere in te il vedere oggi tanti giovani di tante terre diverse che diventano poi loro stessi missionari per altri giovani o per i bambini?

So benissimo che posso solo stupirmi perché tutto questo non è nato da me, e il mio unico desiderio è lasciare che Dio continui a suscitare nel cuore di tanti giovani intuizioni sante e pulite. Le Missioni, per esempio, sono nate dal cuore di un ragazzo arrivato in Comunità ferito e deluso dal mondo degli adulti, il quale, dopo aver incontrato la Misericordia di Dio ed aver perdonato suo padre, ha sentito sempre più forte il bisogno di fare qualcosa per tanti bambini che nel mondo soffrono a causa dell’egoismo di noi grandi. Ha cominciato a insistere che la Comunità doveva aprirsi ai bambini di strada, che dovevamo pensare a loro per preservarli da tanto male che si sarebbero fatti e avrebbero fatto. Così sono nate le nostre fraternità missionarie per i bambini di strada! Certo, so benissimo che il mio dovere lo devo fare. Essere il “cuore”, la voce che scuote la coscienza dei ragazzi, però non ho niente di cui vantarmi perché nulla è stato fatto per dovere o per forza. Tutto è arrivato, giorno per giorno, come un fiume pacifico che percorre il suo cammino.

 

L’ultima sorpresa dello Spirito Santo è stata quella della nascita dei giovani, ragazzi e ragazze, che desiderano donare la loro vita al Signore in questo carisma della Comunità Cenacolo. Cosa ha suscitato nel tuo cuore questa sorpresa?

Nel mio cuore all’inizio non ha suscitato tanto stupore. Perché pensavo che tutto quello che poteva nascere nella Comunità fosse avvenuto: i ragazzi, le ragazze, poi le coppie, le famiglie, i bambini... mancavano solo più gli anziani che non hanno più nessuno. Quando si sono presentate delle ragazze e dei ragazzi che volevano donare la vita a Dio nella nostra Comunità, ho vissuto un po’ di titubanza e pensato: “Ma come si fa?”. Ringrazio la Chiesa perché ha accolto e confermato, passo dopo passo, anche questa nuova realtà nella Comunità, guidandoci con la sua sapienza di Madre.

Oggi ringrazio perché questi giovani, che in modi diversi donano la loro vita a Dio nel carisma della Comunità, sono dei “pilastri” che reggono la nostra realtà, sono il cuore del Cenacolo. Non ho esultato in quel primo momento, ma lodo il Signore adesso. Allora ero così “tuffata” nella vita variegata ed appassionante che il Signore già mi donava, che loro sono venuti a chiedermi un passo in più, mandati il Signore, ed all'inizio non è stato facile neppure per me ricominciare. Oggi quelle ragazze e quei ragazzi sono capaci di soffrire, di donare la vita senza lamentarsi, di dare gioia, amore e sacrificio, sono una grande ricchezza!

 

Cos’è per te la fede oggi. Chi è Gesù per te?

Dire fede è dire Gesù morto e risorto per noi. La mia fede è la vita, non posso tenermi niente del mio esistere che non sia fede, non posso agire se non nella fede, non posso più vivere qualsiasi cosa se non nella fede. La Provvidenza che non ci ha mai abbandonato, la Provvidenza che ci stupisce tutti i giorni, che arriva da tutte le parti del mondo, è il segno concreto della fede, dell'amore di Dio per noi. Ringrazio perché la fede è carne, la fede è sangue, la fede sono le lacrime, la fede sono i momenti in cui Dio mi ha liberato dalla paura, la fede è vita vera!

 

Il Santo Padre Benedetto XVI ti ha invitata tempo fa come uditrice al Sinodo sull’Eucaristia dell’ottobre 2005, segno che l’Eucaristia è il cuore della Comunità Cenacolo: cosa è per te l’Eucaristia e perché la proponi ai giovani?

L’Eucaristia è nutrimento: molto più sfamante di quanto lo sia la pasta e il cibo per il corpo. L’ho proposta perché mi sono sentita io per prima trasformata. Tutto quello che chiedo ai giovani è perché l’ho sperimentato sulla mia pelle: prima con la lotta, poi con la gioia, poi vedendo e vivendo una trasformazione continua. Oggi la chiamiamo “risurrezione quotidiana” che avviene nel cuore dei nostri giovani. L’eucarestia è pacificazione, incontro, stupore, bellezza, forza, rischio... Ti dà tutto quello che devi vivere ogni giorno e ti fa imparare tante cose.

 

Cosa chiedi ai tuoi collaboratori, a coloro che Dio ha chiamato e sta chiamando per servirlo in questa sua opera?

Chiedo tutto: l’intelligenza, la volontà, le braccia, gli occhi… perché sono sicura che se teniamo qualcosa per noi stessi, il dono viene alterato, svilito, impoverito. Ciò che non doni marcisce dentro di te e poi diventa malessere, tristezza, paura, pretesa, egoismo, prepotenza, ambizione, potere...

Per questo chiediamo tutto nella fede, nella fiducia. Quando ci manca qualcosa basta attendere: la pazienza è già preghiera, l’amore è preghiera, l’aspettare i tempi di Dio è preghiera, e ci mettiamo nella condizione di vivere tutto nella fede, perché anche se siamo al buio sappiamo che la luce esiste.

 

Progetti per l’immediato futuro?

Non li ho mai fatti, ma vorrei aprire la porta del cuore, dell’amore a tutta l’umanità, poter accogliere quelli che sono ancora perduti e soli. So bene che ho detto delle cose che a parole sembrano facili, ma in realtà sono possibili soltanto con un miracolo di Dio. Conosco molto bene i miei limiti umani, le mie povertà nell’amare e nel darmi totalmente, ma sono altrettanto consapevole che prima di me tante donne e tanti uomini si sono lasciati trascinare nel vortice dell’amore di Cristo, del dono di se stessi, e io vorrei essere una di loro, nella mia semplicità e fragilità.

Mi sento una privilegiata perché è già un dono così grande vivere la possibilità dell’amore oggi, avere una famiglia con cui condividere la ricchezza della vita, che non c’è da chiedere niente altro.

“Il progetto”, l’unico e perenne progetto è quello di continuare a correre, seguendo con amore e fiducia lo Spirito Santo con Maria, là dove desidera portarci.

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