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Omelia di Mons. Giovanni D' Ercole

Omelia di Mons. Giovanni D' Ercole
(Pro 2,1-9/Gv 15,1-8)
Sia lodato Gesù Cristo. Certo una giornata intensa così, non stanca, è vero sì o no? C’è pure chi dice sì e ha ragione. Non siamo fatti tutti uguali; ad ogni modo, stanchi o no siamo felici, questo è la verità, lo possiamo dire, sì o no? Lo ha sentito pure la Madonna ed è contenta.
Adesso, ascoltate, perché probabilmente c’è qualcosa d’importante che dobbiamo capire insieme. Io partirei da questa icona: questa mattina vi avevo parlato dell’ulivo, che è il simbolo che richiama il paradiso terrestre e quindi nella nostra mente richiama subito quel “non fate” pericoloso che risuona continuamente nel cuore di ogni uomo, questo “no” suggerito da satana che poi si traduce con l’indifferenza. Molto spesso l’amore non esercitato si tramuta in odio; molto spesso Dio oggi non è amato perché non è conosciuto, perché c’è una forma di indifferenza tale, per cui, a un certo punto, Dio diventa un estraneo, e quando uno è estraneo, diventa potenzialmente un nemico. Allora è importante che noi, è il primo richiamo che ci viene forte dalla celebrazione di quest’oggi, facciamo sentire che Dio non è un estraneo, non è un nemico, ma è un amico. Quell’albero ce lo ricorda; è il segno della sua fedeltà, indica il paradiso terrestre e la promessa; l’albero fiorente indica anche la Chiesa. Ma quell’albero che vediamo nell’icona da dove nasce? Nasce nella casa della Comunità, cioè nel Cenacolo. Quindi, c’è un primo grande  messaggio e compito che ha la Comunità Cenacolo; quello di tenere sempre vivo quell’albero che è quello dell’amore, che è l’albero dell’amore di Dio e a Dio, dell’amore della Chiesa e alla Chiesa.
Poi, ci sono tanti dettagli che vorrei sottolineare perché come ho visto stamattina, ho colto che il buon Ismael è stato veramente inspirato e io vorrei pregare che tutti quelli che guardano questa icona siano inspirati ad avere l’attitudine alla disponibilità all’ascolto, al fare ciò che il Signore ci chiede. Un piccolo dettaglio solo: questo personaggio davanti. Potrebbe essere Suor Elvira, potrei essere io, potrebbe essere ogni sacerdote e ciascuno di noi: cosa ha fatto? Prende un calice, in quel calice, non sappiamo cosa c’è, non possiamo andare a vedere cosa c’è, però, simbolicamente, noi possiamo passare dalle nozze di Cana al Cenacolo, allora comprendiamo il legame strettissimo che c’è tra le nozze di Cana e il Cenacolo. Nelle nozze di Cana, Gesù ha trasformato l’acqua in vino, nel Cenacolo Gesù ha trasformato il vino nel Suo sangue. Questo indica che se trasformando l’acqua in vino, Gesù ha fatto felici degli sposi, trasformando il vino nel Suo sangue, ha tolto dal nostro cuore la radice del male, dell’odio e della sofferenza, cioè, ci ha reso felici per sempre. Ecco che noi andiamo nel Cenacolo, e celebrando l’Eucarestia, noi entriamo sempre nel Cenacolo, riviviamo quella scena d’amore incredibile, nella quale Gesù, come dice San Giovanni, ci ha amato sino all’impossibile, ha amato oltre misura. E  qui ci viene in mente quello che Gesù ha detto nel Cenacolo. La Madonna alle nozze di Cana dice : “Fate quello che vi dirà”, parlava ai discepoli, li preparava alla missione futura, parlava ai servi, ma parlava a ciascuno di noi, parlava a quelli che erano lì. La Madonna continua a parlare al cuore di ciascuno di noi: “Fa quello che Gesù ti dice”. Nel Cenacolo, Gesù dice “Fate questo in memoria di me”, oggi noi abbiamo compreso che questo fare in memoria di me, quello che Gesù ha fatto nel Cenacolo, significa affrontare il sacrificio della croce.
Ora ci sono delle persone, e tra queste ci siamo forse anche noi perché siamo tutti molto deboli, che vorrebbero un cristianesimo pieno di gioia e senza croce. Quanta gente prega per avere quello che vuole da Dio, poco disposta però ad accettare quello che Dio vuole. Il cristianesimo non è una religione fatta per ottenere da Dio quello che noi vogliamo, ma è piuttosto una fede profonda che ci unisce a Cristo, di modo che noi siamo disposti a compiere la volontà di Dio, perché solo lì c’è la nostra gioia. Nella croce. Ecco qui dovremo fermarci un istante e capire quanto è grande il mistero della croce nella nostra vita. Qui vedo i volti di molti di voi ragazzi, e arrivato alla mia età basta guardare negli occhi per capire spesso cosa c’è nel cuore; in essi leggo la storia del passato, leggo storie di carcere, di solitudine, di tristezza, leggo tanta, tanta mancanza di amore, tanta ricerca nei posti sbagliati dell’amore, però oggi, leggo anche che qualcuno ha passato dentro al cuore la sua  mano, allora vedo anche che molti di voi, non tutti devo dire la verità, ma molti di voi, ormai non hanno paura di Cristo, perché hanno capito che sì, la croce è qualcosa che pesa sulle spalle, ma alleggerisce il cuore, perché la croce, spesso abbiamo la sensazione che siamo noi a portarla, ma in effetti, è Cristo che la porta. Arrivato a questo punto, la domanda che io mi pongo, e che immagino pure voi giustamente vi ponete, è: “Come possiamo fare? Come possiamo fare? Per fare quello che la Madonna ci ha detto di fare, e quello che Gesù ha detto “Fate questo”, cioè tutto questo fare, tutto questo fare, come lo dobbiamo realizzare?” E qui arriva il bello. Lla Parola di Dio che abbiamo ascoltato quest’ oggi, questa sera, ci dà una bellissima risposta, e la risposta è proprio questa: tu intanto, non ti mettere in testa che devi fare tutto. La  parola è “rimani”, cioè resta in me, questa è la parola che noi non ci dobbiamo mai dimenticare. Nel piccolo brano evangelico che abbiamo ascoltato, per sette volte viene coniugato il verbo rimanere: “rimanete, se non rimanete, chi non rimane, rimanete…”, ora cosa vuole dire rimanere? Questa sera non possiamo uscire del nostro incontro senza avere ricevuto in dono la grazia di capire l’importanza nella nostra vita, l’importanza di restare in Gesù, di restare come Maria in Gesù. Guardatela, la Madonna, nell’icona è appoggiata a Gesù; Gesù inclina il suo capo quasi sulle braccia di Maria, Maria è accostata a Gesù, questo è il nostro grande segreto, restare con Gesù, restare in Gesù. Cerchiamo di capire quest’insegnamento, ricorrendo al santo di cui oggi noi celebriamo la festa, San Benedetto.
Se voi andate a Roma, vi pregherei di entrare in una piccola chiesa, che si chiama San Benedetto in Piscinula, e si trova a Trastevere. Voi entrate, sulla destra c’è una grotta e la tradizione racconta che il giovane Benedetto, scapestrato e un po’ drogato potremmo dire oggi, ricco di famiglia, nobile, ma scontento della vita, le aveva provate tutte, finché volle restare in quella grotta, dove fu raggiunto dalla grazia di Dio. Lì, Benedetto si convertì, e da quel giorno uscì dalla città, uscì dalla Roma imperiale. E dopo, cosa fa Benedetto? Si ritira, e non fa niente altro che quello che avete fato voi nella Comunità Cenacolo: vive in ruderi, in case diroccate, e mentre sistema, risistema con i suoi monaci questi ruderi, mette ordine dentro al suo cuore, mette pulizia dentro di sé. Altri monaci lo seguono, e dà vita a quell’ordine monastico, che era basato fondamentalmente su una regola basilare che mai dobbiamo dimenticare: “Tutto fare per gloria di Dio”. “Ormai nella mia vita”, dirà San Benedetto citando San Paolo, “non c’è altro che Gesù Cristo”. E, citando un altro grande santo che si chiama Cipriano,  scriverà per i  suoi monaci: “Fratelli miei, noi non dobbiamo anteporre mai nulla a Cristo”.
Ecco dunque la risposta a quello che dobbiamo fare. Qualcuno pensa che per salvare il mondo deve correre, deve fare chissà che … Mi ha colpito tra le testimonianze che abbiamo ascoltato prima, quella signora che ha detto di essere era venuta a salutare Suor Elvira e l’ha trovata in ginocchio davanti al Santissimo, ha aspettato un’ora e quando si è girata, le ha detto che il Signore le stava dando delle regole per la Comunità. Quindi non siamo noi che ci dobbiamo inventare qualcosa, non è che dobbiamo dire: ecco che cosa devo fare io? Che mi posso inventare? Bisogna imparare ad ascoltare, bisogna sturare, liberare le orecchie, in modo tale che noi rimaniamo continuamente in ascolto di Dio; bisogna che noi ci esercitiamo in tale modo che anche quando parliamo con un altro, mentre parliamo, l’altro si rende conto che non sono io che parlo ma Dio che parla attraverso di me; ecco cosa vuol dire restate in me, rimanete in me. Questo non ve lo debbo insegnare io, ma lo dico ad alta voce perché serve a me, serve a noi sacerdoti, serve a tutti. Dobbiamo passare molto tempo in adorazione e in preghiera; il primo frutto di questa giornata è proprio quello di intensificare il tempo della preghiera.
Ricordo Giovanni Paolo II, che è stato il mio grande maestro; ho vissuto con lui, al suo servizio diretto, per più di quindici anni. Da lui ho imparato a pregare, ho assimilato l’importanza della preghiera; quante volte Giovanni Paolo II diceva: “Dobbiamo pregare”. “Santo Padre, c’è questa persona ammalata che ha bisogno” e lui si prendeva la lettera, se la teneva sull’inginocchiatoio, pregava, qualche volta dopo un giorno, rimandava la lettera, “Rispondete: ho pregato”, qualche volta, la teneva una settimana, qualche volta un mese, io un giorno gli ho chiesto: “Santità, questa lettera di questa persona?”, “Ancora devo pregare, anzi dobbiamo continuare a pregare”. Giovanni Paolo II per me è stato un esempio di preghiera. Devo rendere una testimonianza: da lui ho imparato a celebrare l’Eucarestia, da lui ho imparato l’importanza del pregare, di notte e di giorno. Quando Gorbatchov nel 1989 venne per la prima visita ufficiale, il Papa ne aspettava l’arrivo, noi eravamo lì con lui, perché ritardò venti minuti, e il Papa aveva il rosario in mano e pregava, pregava, il rosario nella mano, e il suo segretario mi disse: “Il Papa ha passato tutta la notte in preghiera”.
“Fate quello che vi dirà, fate questo in memoria di me” risuona con questa eco:. “Resta fermo lì, non fare niente di testa tua, lascia che Io faccia tutto perché come la vite ha i tralci, come i tralci danno frutto, se sono attaccati alla vite, così tu se resti in Me, Io opero attraverso di te”.
Maria, Vergine dell’ascolto, che in questa icona, sei nell’atteggiamento dell’adorazione, insegna a tutti noi, a noi preti innanzi tutto, che il mondo si salva non correndo, ma rimanendo in ginocchio; anzi, noi non salviamo il mondo, noi dobbiamo solo amarlo e l’amore altro non è che il riflesso della preghiera. Un uomo, una donna fatta preghiera, trasmettono l’amore di Dio. Un giorno stavo in crisi, e decisi di andare a parlare con Madre Teresa; andai, e lei mi prese per mano, e mi tirò dentro a una cappella piccola e disadorna, e si mise in ginocchio, io mi misi in ginocchio vicino a lei, rimanemmo così una mezz’ora, alla fine si alzò e mi disse: “Arrivederla Padre” e le dissi: “Ma io dovevo…” lei mi rispose : “il Signore le ha parlato; si ricordi lei che God loves you, Dio ti ama e tu devi dimostrare agli altri l’amore”. Avevo capito tutto, io cercavo una risposta che fosse il frutto dell’affermazione della mia capacità speciale, particolare, invece lei mi rivelava che Dio può tutto quando noi, con un semplice ferro da stiro rimaniamo attaccati alla corrente, e il ferro caldo appiana tutte le pieghe storte. Ecco una grande lezione che ci viene questa sera, a conclusione di questa giornata, “Fate questo, fate ciò che vi dirà” risuona nel nostro cuore, “Rimanete in me, rimanete con me e Io sarò con voi, fino alla fine del mondo”. Sia lodato Gesù Cristo.
                                     

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