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Venerdì

Omelia di Mons. Giovanni D' Ercole  | 

Catechesi di Mons. Giovanni D' Ercole
Cara suor Elvira, caro don Stefano e voi tutti della Comunità! Vorrei innanzitutto ringraziarvi per avermi invitato a condividere questo giorno di festa. Sono contento di potervi incontrare proprio nel giorno in cui celebriamo la festa di san Benedetto, patrono  di Papa Benedetto XVI. Il Santo Padre si trova in vacanza, ma ha voluto comunque avere un pensiero per la vostra Comunità, che celebra i suoi 25 anni. Domenica prossima, il vostro Vescovo vi leggerà il messaggio che vi ha mandato e che ho già consegnato a Suor Elvira. Con animo grato, facciamo a Lui un applauso di ringraziamento.
Vorrei ora pregarvi tutti di camminare con me, perché entreremo insieme nel sentiero della Parola di Dio. Cercheremo insieme di comprendere il significato del tema che avete scelto per questa Festa della Vita. Sono le parole di Maria ai servi nelle nozze di Cana di Galilea: “Fate quello che Egli vi dirà”(Gv.2,5), fate quel che Gesù vi dirà. Questa pagina del Vangelo di Giovanni costituisce un passaggio centrale per comprendere il mistero della salvezza. Cercheremo insieme di coglierne il senso e il messaggio per noi, ripercorrendo la Sacra Scrittura, potremmo dire, dall’inizio alla fine. Capiremo allora come questa scena, che ritrae un momento di vita, quello della celebrazione di un matrimonio, diventa un “simbolo” attraverso il quale ci è dato inoltrarci nella comprensione della storia, non solo della nostra storia personale, ma della storia di tutta l’umanità.

Cominciamo con una piccola premessa. Seguendo l’insegnamento dei Padri della Chiesa e la tradizione cristiana il catechismo della Chiesa cattolica insegna a leggere le Sacre Scritture  traendone un duplice messaggio, scorgendo in esse un duplice senso: un senso letterale e un senso spirituale, suddiviso quest’ultimo in senso allegorico, morale e anagogico ( anagogico significa che possiamo vedere certe realtà e certi avvenimenti nel loro significato eterno, che ci conduce – in greco anagoge  - verso la patria celeste. Così ad esempio la Chiesa sulla terra è segno della Gerusalemme celeste) (Cf art.115,116,117). .

Venendo al nostro caso – l’episodio delle Nozze di Cana che troviamo nel Vangelo di Giovanni al cap.2 -  si  tratta innanzitutto del racconto di una festa  di nozze che, cominciata bene, sta per finire male  perché viene a mancare il vino. La gioia delle nozze rischia di tramutarsi in delusione per gli invitati e in vergogna e disonore per gli sposi. Questo è il primo significato che traiamo dal brano biblico, il senso letterale e storico. In proposito però possiamo fare subito anche una considerazione spirituale. Il  vino, nella tradizione biblica, è simbolo della gioia. E dunque l’evangelista ci invita a capire che la mancanza di vino è segno di qualcosa di più serio e grave: si sta cioè profilando il rischio del naufragio di un matrimonio proprio al suo nascere. E qui si innesta un senso più largo, un senso allegorico e spirituale. In effetti è un rischio sempre attuale quello della crisi matrimoniale, un rischio diventato addirittura oggi spesso tragedia perché, sopratutto nelle nostre città, nel nostro Paese, aumenta vorticosamente il numero delle famiglie che vanno in crisi, dei matrimoni che finiscono non raramente dopo poco tempo. Viene a mancare il vino della fedeltà e dell’amore, scompare la gioia e l’armonia, si smarrisce il senso della vita. Questo è un primo importante messaggio che traiamo da questo brano con cui Giovanni apre praticamente il suo Vangelo. E’ infatti è il primo episodio della vita pubblica di Gesù. Il quarto evangelista lo colloca all’inizio dopo il prologo, la testimonianza di Giovanni Battista -  non sono io il messia atteso ma Gesù che è l’agnello di Dio, colui che viene a togliere il peccato del mondo -  e la chiamata dei primi discepoli. In questo episodio entra anche la Madonna ed è la prima volta che la vediamo intervenire e la sentiamo parlare nel Vangelo di Giovanni: Maria dice ai servi: “Fate quello che Lui vi dirà”.

Ma ora dobbiamo lasciare da parte questo episodio per andare ad un altro passo della Bibbia, che si trova nel libro della Genesi. Dio, dopo aver creato il cielo e la terra, gli animali e il resto dell’universo, ha creato l’uomo: “maschio e femmina li creò” – dice l’autore sacro -  perché “non è bene che l’uomo sia solo” (Gn. 2).  La Bibbia si apre con questa verità fondamentale, la verità dell’amore e della comunione che si esprime nella realtà della famiglia. La famiglia, non l’ha inventata l’uomo, non è creazione dell’uomo; la famiglia è “invenzione”,  “dono” di Dio per l’umanità, ideata dalla sua provvidenza  perché possa essere il luogo della vita, il luogo della gioia, il luogo della fecondità dell’amore. Non dobbiamo mai dimenticare questo perché la cultura contemporanea ci fa credere che sia stato l’uomo a creare la famiglia, e per questo ci si crede autorizzati ad inventare altri tipi di famiglie pari a quella fondata sull’amore tra un uomo e una donna sancito dal matrimonio e aperta al dono della vita. Si legalizzano altri tipi di matrimoni, altre modalità di famiglie e di unioni, di cui oggi molto si parla come “diritti”, ma a ben vedere , bisogna riconoscere che invece rischiano di  essere, pur con tutte le buone intenzioni, una “parodia” del progetto di Dio.

Dunque, all’origine dell’umanità c’è un progetto di amore divino reso concreto nel rapporto tra l’uomo e la donna uniti nell’amore; una comunione di vita che riflette, un certo modo la “koinonia” e cioè la comunione piena di gioia che è  nella Trinità . L’immagine che esprime questa felicità e questo amore è quella della famiglia – Adamo ed Eva -  che dialogano con Dio. Al capitolo terzo del libro della Genesi,  assistiamo però a qualcosa di drammatico. Che cosa succede? Il Maligno, il serpente, si avvicina ad Eva, e le dice: “È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?” . Eva risponde: “No. Dio ha detto che possiamo mangiare di tutti questi alberi eccetto dell’albero della conoscenza del bene e del male”. Il resto dell’episodio è noto: Eva si lascia convincere da satana, mangia del frutto proibito e con lui Adamo. Satana li ha turbati e con l’inganno li ha opposti a Dio. Ne consegue una drammatica  rottura tra Dio e l’essere umano ( il peccato originale) le cui conseguenze l’umanità intera porta con sé.

Vale la pena soffermarsi a capire meglio quel che è successo. La Sacra Scrittura parla dell’albero della conoscenza del bene e del male, l’unico di cui l’uomo non doveva mangiare perché mangiandone sicuramente sarebbe morto. ( Gn 2,16),. Cosa vuol dire la conoscenza del bene e del male? Vuol dire, ed è importante che ce lo ricordiamo, che Dio ha creato l’uomo – maschio e femmina -  a sua immagine e somiglianza, li ha resi suoi collaboratori, suoi amici, e ha dato ad essi come legge: l’ascolto docile e obbediente della sua Parola. L’uomo cioè non può essere felice da solo, l’uomo è felice solo quando rimane in ascolto di Dio, quando resta nella sua amicizia e unito a Lui. Ma il serpente, il demonio, che odia Dio e certamente  non vuole la felicità dell’uomo,  lo tenta e gli fa credere il contrario, cioè che l’uomo può costruirsi la sua felicità da solo. Ecco il dramma che è all’origine della nostra povera e fragile umanità, Dio aveva detto: Potete usufruire e mangiare di ogni albero, potete servirvi di tutto, ma non potete essere voi a “conoscere il bene e il male”, non siete voi a poter decidere “ciò che è bene e ciò che è male”: non è l’uomo che può stabilire ciò che è bene, ciò che è male, non siamo noi che possiamo decidere che questo è bene e questo è male. da sempre, ma ancor più oggi il rischio grande dell’umanità è proprio questo: di credere che l’uomo può stabilire autonomamente ciò che è bene e ciò che è male. L’aborto diventa così  un diritto civile perché si stabilisce che è bene, l’eutanasia viene reputato un diritto perché lo stabiliamo noi; l’uomo cioè diventa autonomo totalmente da Dio  Cosa c’è all’origine di questa scelta dell’uomo che lo rende infelicemente capace di distruggersi? C’è la perfida e ingannatrice parola di satana: Non è vero, non fate quello che Dio vi dice…” Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”(Gn 3,4).  Questa parola di satana: “Non fate quello che Dio vuole” risuona fin dall’inizio, fin dall’origine della storia dell’umanità. E’ la parola che ha scatenato il peccato originale, e da lì è iniziata la storia dolorosa dell’umanità, in cui si trova coinvolta la vita di ciascuno di noi, che ci porta per cammini diversi a sperimentare il peso del peccato, della sofferenza, della tristezza, della mancanza di pace nel cuore. “Non fate quel che Dio dice”, che si traduce in: “Faccio quello che voglio e come voglio io”. 

Prima di tornare all’episodio delle Nozze di Cana e all’invito di Maria ai servi: “Fate quello che vi dirà”, dobbiamo fermarci un istante e prendere coscienza che siamo tutti tentati costantemente dall’invito di satana: “Non fate quello che Dio dice”. Ognuno di noi nasce segnato dal peccato originale. Questo peso, “Non fate quello che Dio vi domanda”, che significa “Non fidarti di Dio” ha prodotto tanto male, odio, violenza e disperazione. C’è in ognuno di noi una lotta tra il bene  e il male e pur anelando al bene siamo più facilmente portati a fare il male. Molto interessante a questo proposito è il capitolo settimo della lettera di San Paolo ai Romani che vi invito a leggere. Dice praticamente l’Apostolo: “Io vedo il bene, ma faccio il male; si verifica dentro di me come una lotta: vorrei essere buono, ma casco nel male, vorrei essere una persona generosa, ma mi ripiego su me stesso, vorrei essere felice e sperimento tanta infelicità”.

E’ vero: l’invito diabolico: “Non fate” risuona costantemente nella storia dell’umanità! Anche oggi noi lo possiamo toccare con mano. Cosa c’è all’origine di tanti drammi familiari? Cosa c’è all’origine di tante ingiustizie? Cosa c’è all’origine di tanti episodi di cronaca nera? C’è l’essersi lasciati fuorviare dall’invito satanico: “Non fate quel che Dio vuole”, “Non fidarti di Dio”. Schiavo della propria autonomia, delle proprie scelte, l’uomo crede di essere libero quando fa quello che vuole; al contrario, è schiavo del ricatto di satana, che lo ha imbrogliato fin dall’origine. In effetti, satana, il diavolo – lo dice lo stesso nome -  è colui che inganna e divide.

La storia della salvezza inizia con questo drammatico “Non fate quello che Dio vi dice”  risuonato nel cuore dell’uomo, nel cuore di Adamo e di Eva. Tutto sarebbe finito, sarebbe stata la rovina di tutti, se a quel momento Dio non avesse guardato con misericordia l’uomo creato da Lui stesso a sua immagine e somiglianza. Ecco allora che all’orizzonte progetta già la nostra liberazione, la nostra redenzione. Nel tragico racconto della cacciata dei nostri progenitori dall’Eden, tra le parole pur giuste e terribili di Dio c’è una promessa che apre il cuore alla speranza. Iddio non abbandona l’uomo nelle mani di satana, non lo abbandona alle sue stesse mani  Al serpente antico, maledetto più di tutto il bestiame dice: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe  e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3, 15).. Una donna dunque  schiaccerà con il calcagno la testa di satana. Ecco la promessa divina:: tu, uomo, tu donna, faticherete e soffrirete e morirete, ma la sofferenza e la morte non avranno l’ultima parola. Davanti a voi c’è la possibilità di ritrovare il sorriso, la pace, la gioia, la vita. Non è finito tutto perché nella mia misericordia,  nel mio amore fedele, Io non vengo meno al mio progetto di amore. Già da quel momento, raccontato in questa pagina della Bibbia che molti studiosi chiamano “Proto-Vangelo della salvezza”, noi vediamo proiettata la scena  della nostra redenzione simbolicamente evocata nell’episodio delle nozze di Cana. Già da quel momento vediamo quello che si compirà sul calvario con il mistero della Croce! E’ una proiezione sul mistero della croce, dove Gesù con la sua morte e risurrezione renderà possibile per ogni persona umana uscire della schiavitù del peccato. Una forma di tale schiavitù a voi bene nota è quella della tossicodipendenza, e la droga non è solo la marijuana, l’eroina, la cocaina, ecc. Le droghe del peccato, le droghe con cui satana conquista gli uomini sono purtroppo tante, e possono assumere i toni e le tonalità le più diverse, ma sempre portano alla schiavitù del proprio egoismo, una schiavitù che prima ancora di fiaccare il fisico, ha già mortalmente ferito l’anima.

Vedremo tra poco come Gesù ha operato questa salvezza sulla Croce, ma ora torniamo alle Nozze di Cana e ci chiediamo : che significato possono assumere in questa luce? A ben vedere, hanno un valore importantissimo perché ci suggeriscono alcune verità che è bene ricordare costantemente. La prima è che le nozze di Cana, poste subito all’inizio della vita pubblica di Gesù, ci fanno già proiettare lo sguardo verso la morte di Cristo sulla croce: Giovanni ci dice che tutto il cammino di Gesù, tutta la sua vita pubblica, è protesa verso questo grande mistero di amore che è la sua morte sulla croce, anticipata nelle nozze di Cana.
Come e perchè?  Le nozze di Cana raccontano una festa, un banchetto di famiglia. Vale la pena allora fare un passetto indietro: vi ho detto prima che l’evangelista pone questo racconto dopo quello della chiamata da parte di Gesù dei i suoi primi discepoli. Gesù ha già dato avvio, sia pure come un piccolo seme,  alla sua Chiesa, ha messo il “semino” della sua Chiesa nel mondo. Nell’icona di Ismael, che ritrae proprio le nozze di Cana, vedrete un albero, che è l’albero della vita, l’albero che richiama il Proto-Vangelo, l’albero del paradiso terrestre, ma che indica anche la Chiesa. E’ un albero di ulivo, che nella tradizione orientale, indica perennità, pace, ricchezza spirituale. Dal frutto dell’albero dell’olivo viene tratto l’olio per consacrare, cioè per santificare  e riservare a Cristo persone e cose. Questo albero di ulivo che nell’icona è posto sullo sfondo delle nozze di Cana  è immagine dunque della Chiesa, albero di vita, perenne nei secoli. Ora, in una nostra possibile interpretazione, possiamo dire che la Chiesa appena nata appare già segnata dalla tentazione del diavolo. Satana è all’opera, interviene cercando di rovinare il progetto di Dio. Come? Facendo mancare il vino! Fin all’origine satana vuole rovinare la Chiesa; come fece con Adamo ed Eva cercando di togliere la gioia alla Chiesa nascente, impedendo così il compiersi del disegno della salvezza. Ma l’albero ben florido sta ad indicare che il suo tentativo non avrà successo. Quest’albero richiama da una parte quello della colpa originale e dall’altra l’albero vittorioso della croce di Cristo. E tutto ciò nel contesto della simbologia delle nozze.

Qui mi viene in mente, ed è importante sottolinearlo, come le nozze ricorrano spesso nella Bibbia come il simbolo dell’unione tra Dio e l’umanità. Tutto l’Antico Testamento si può leggere attraverso la ricca simbologia delle nozze: l’amore che unisce Dio all’umanità. La Chiesa è simbolo di questa unione profonda. Il matrimonio all’interno della Chiesa, è il simbolo più visivo, più espressivo di questo amore. Ecco perché oggi satana si preoccupa di distruggere la famiglia, si occupa di distruggere i matrimoni, perché sa che distrutta la famiglia, abbattuto l’amore, l’uomo è ridotto ad una larva, simile a un drogato, ormai perso, sbattuto, abbandonato in mezzo alla strada, condannato alla morte se non incontra per caso qualcuno che gli dà la mano, che lo fa risvegliare dal suo sonno di morte e lo rilancia alla vita. Ecco l’umanità, l’umanità di oggi che ripercorre in un certo modo l’esperienza drammatica dell’Eden quando l’uomo commise il peccato originale. La nostra storia , la storia dell’uomo che rifiuta Dio è simile ad una festa dove a un certo punto viene a mancare il vino: non c’è più gioia. E’ come una notte illuminata dove ad un certo punto si spegne la luce e si piomba tristemente nelle tenebre; è come un giorno senza sole che ci fa morire di freddo nel buio più tetro e pauroso.

Dobbiamo ora tornare alle nozze di Cana, e soffermarci a meditare sulla presenza di Maria, presenza attenta e silenziosa. In verità, secondo il racconto evangelico fu Lei ad essere invitata alle nozze ed è Lei che con sé  ha portato Gesù, e, com’era costume del tempo, con Gesù si recarono pure gli apostoli. Chi sa che proprio per la non prevista presenza del gruppo dei discepoli del Signore , i quali certamente avevano l’abitudine di bere per far festa – non si sia verificata  l’imprevista mancanza di vino? Questo – forzando un po’ la nostra interpretazione – ci porta a considerare  che  le circostanze che possono condurre al fallimento delle nostre famiglie e alla crisi delle comunità ecclesiali possono essere tante e le più impreviste.

Il dato importante è che la Madonna è presente. GuardiamoLa, proviamo a chiudere gli occhi ed immaginare la scena delle nozze di Cana. E facciamo diventare la nostra riflessione preghiera, contemplazione della Parola di Dio, contemplazione di ciò che Dio ha compiuto, delle sue meraviglie operate grazie all’intervento di Maria. Poniamoci all’ascolto della Vergine, maestra di vita per la nostra esistenza. Cari genitori di questi ragazzi, che molte volte avete condiviso l’esperienza drammatica di un figlio caduto e ricaduto nella droga, che si è alzato ed è ricaduto ancora, e qualche volte non sapete più dove guardare e che cosa fare! Sì, la droga è un terribile dramma, ma più che essere causa è un effetto di un profondo disagio. E’ un vuoto interiore che si cerca di colmare con un altro vuoto, la droga è il sintomo di un disagio profondo. Ora, solo la Parola di Dio ci aiuta ad andare nella profondità del cuore; ci  aiuta a capire che non c’è più “vino”, manca  gioia: è questo il male profondo. Ora, cari genitori, dalla droga si esce, come nella Comunità Cenacolo si sperimenta da 25 anni e come voi avete capito bene, non adottando tecniche e terapie, non con interventi semplicemente terapeutici, ma incontrando l’amore di Dio. E’ solo Dio attraverso la Sua misericordia a trasformare la nostra acqua in vino! Solo grazie all’intervento di Dio è possibile rinascere alla vita, salvare l’amore. Cambiare vita : è un dono  liberatore che Iddio può farci! In fondo è un dono uscire della droga; è una grazia ritrovare il senso e il valore della vita. Nel 1974, appena ordinato sacerdote, ho incontrato il primo tossico della mia vita. Erano tempi in cui per noi la droga costituiva una “bestia rara”, e non esisteva ancora nemmeno una legislazione in materia  … Mi  ricordo quel ragazzo si chiamava Tommaso; come tutti i tossici dell’epoca era un girovago e girava dappertutto, rubando da una parte e nascondendosi dall’altra. Capitò un giorno dalle miei parti, a Roma, ed io ho tentato nella mia ingenuità di aiutarlo. Mi sforzavo di stare con lui mattino e sera. Ricordo che un giorno mi disse: “Giovanni, mi vuoi bene?”, “Sì Tommy, come no!”- gli risposi. E lui: , “ti prego allora, lasciami morire, non ha più senso questa vita per me ”.
Nell’anfora della vita di Tommy non c’era più vino, anzi la sua acqua era stata intorpidita dalla tristezza e dalla disperazione: puzzava di morte. Io gli disse: “Tommy, non posso farti morire, io devo solo aiutarti a vivere”. Però fu la mia grande sconfitta, perché qualche giorno dopo, l’unico quarto d’ora che non lo avevo sorvegliato, Tommy si lanciò da un balcone e finì per terra. Morto! Ma è rimasto sempre nella mia mente, nel mio cuore, stampato nella mia memoria il suo grido di disperazione: : “Giovanni, mi vuoi bene? Aiutami a morire”.

E’ il grido che si leva anche oggi  da tanta gente. Dagli ammalati terminali che chiedono di morire perché non sono più aiutati a vivere, e c’è chi crede di aiutarli uccidendoli. L’eutanasia è una spia profonda di questo disagio umano e profondo. Come può essere chiamato diritto civile ciò ch’è morte?. Al grido di chi non ha più vino, non ha più ragione di vita, non si può rispondere con la scorciatoia della falsa pietà che si maschera di un amore portatore di morte. La vita non è nelle nostre mani, ma in quelle di Dio e in ogni sua fase essa può essere vissuta pienamente. Certo, questo richiede il coraggio e l’umiltà di chi sa di essere “limitato” e non onnipotente, la consapevolezza che con Dio l’impossibile diviene possibile: l’acqua viene mutata in vino.. Quando allora non c’è più vino, sappiamo che esiste Qualcuno che può sempre cambiare la nostra acqua in vino, la nostra miseria in ricchezza spirituale, la nostra disperazione in speranza. Satana però continua a tentare l’uomo facendogli credere che deve contare solo su se stesso e che anzi Dio è suo nemico perché lo fa soffrire e lo condanna alla morte. Questo è il mestiere di satana, questo è il rischio più grande che vive la nostra umanità oggi, il rischio di essere drogati dal senso dell’autonomia, di una libertà, che non è vera libertà ma scelta di ciò che io decido in modo autonomo. Se l’uomo ascolta satana  finisce con il convincersi che deve fidarsi solo di se stesso. E il risultato è quello che costatiamo ogni giorno: voi, cari ragazzi, potete testimoniarlo. Avete creduto a questa falsa verità e vi siete ritrovati soli, ai margini di una strada, abbandonati da coloro, che vi hanno lusingati, sfruttati, sedotti e abbandonati al vostro destino di morte. Voi ragazzi che avete fato l’esperienza della droga, lo sapete: non vi hanno aiutato quelli che vi hanno venduto la droga o vi hanno coinvolto nello spaccio- consumo di droga, non vi hanno aiutato gli spacciatori, non vi hanno aiutato quelli con cui avete sperimentato notti brave e giorni senza tramonto! Vi ha aiutato solo chi vi ha dato due sberle, e vi ha fatto risvegliare dalla sbornia della droga; vi ha aiutato chi vi ha detto:  “La vita è up  sù, è guardare in alto”. La vita è dono di Dio, la vita è amore di Dio da accogliere con umiltà e riconoscenza.

Non avere più vino: le nozze di Cana possono allora essere la fotografia di una felicità che si spegne di botto, la foto della storia della mia vita, della vostra vita quando inizia a mancare di senso e di valore. E’ la storia dell’umanità. Di questo in effetti Giovanni tratta, ponendo il racconto, come dicevo, proprio all’inizio della vita pubblica di Cristo. Ma a Cana è presente la Madonna: senza di Lei la storia dell’umanità sarebbe stata diversa; senza Maria non possiamo vivere, perché Lei ci è stata data come Madre, come Colei che ci previene e ci accompagna. Presente come Madre alle nozze di Cana, simbolo eloquente di ogni avventura umana e di tutta la storia della salvezza..

Vi faccio una testimonianza: ho 60 anni, vi posso dire che nella mia vita, se non ci fosse stata Lei, oggi non starei qui a parlarvi, perché la mia non è la storia di uno che è nato santo, nato prete; è una storia dove alle spalle c’è sofferenza e difficoltà, ma Lei l’ho trovata sempre, silenziosamente presente e ringrazio che mi ha preso per le orecchie e mi ha detto “Fa’ quello che Gesù ti dirà”. Debbo tutto alla Madonna che considero la mia madre, e devo a mia madre Cristina di avermi insegnato questo. Io sono di una famiglia povera di Roma, romano di origine abruzzese. Mia madre è morta quando avevo 10 anni, ma i ricordi che affondano nella memoria della mia vita me la fanno ancora vedere, bella questa donna, che mi stringeva tra le braccia e mi portava alla Madonna e mi diceva così: “Giovanni, ricordati che Lei è tua madre, io prima o dopo morirò, ma Lei non ti abbandonerà mai”. Io debbo a mia madre questa grande ricchezza. Non mi ha lasciato nulla di materiale mia madre, perché se n’è andata via molto presto. Anzi, non se n’è andata via perché è presente più di prima accanto a me. Mi ha lasciato niente e tutto perché mi ha insegnato ad amare Maria ed  io le dirò grazie per tutta l’eternità perché mi ha indicato in Maria la mia vera Mamma!

Vorrei che questo avvenisse per ciascuno di voi, cari amici!. L’episodio delle nozze di Cana ci vuol fare capire questa verità; ci vuole indicare che senza la Madonna tutto diventa più faticoso, che senza di Lei non c’è amore e quindi unità e comunione dei cuori. Guardate oggi cosa avviene quando sparisce una madre! Quando una madre non fa più la madre in una famiglia, quando una madre si interessa più di se stessa, del culto della sua persona piuttosto che dei suoi figli…E’ lo sbando! Maria, le nozze di Cana ce la presentano come Madre premurosa e preveniente.

Entriamo nella scena e guardiamo cosa succede: gli sposi, felicissimi, mangiano e bevono; ma sta per profilarsi un dramma: è finito il vino. Chi se ne accorge? Lo sposo? Manco ci pensa, è quasi ubriaco! La sposa? No! Chi se ne rende conto? E’ Maria, la quale chiama Gesù e gli dice: “Non hanno più vino”. Ci sono dei richiami in questo colloquio tra Maria e Gesù che ci conducono a ripensare al dialogo drammatico che si è svolto tra satana ed Eva nel paradiso terrestre. Qui vediamo Maria che dice a Gesù: “Guarda che l’umanità si sta disperando” e Gesù dà una risposta che a prima vista potrebbe apparire quasi scorbutica: “Che ho da fare con te, donna? Non è ancora giunta la mia ora”. In verità non si tratta di una mancanza di buona creanza, e Gesù non sta facendo il maleducato nei confronti di Sua Madre. In modo misterioso, Gesù, dinanzi alla drammaticità della situazione in cui si trova l’umanità, evidenzia  “l’ora” della salvezza che si compirà sulla Croce, qui anticipata grazie all’intervento di Maria. Si compie così la profezia che abbiamo visto nel libro della Genesi. Maria affretta il prodigio della salvezza per l’umanità: “Una donna schiaccerà la tua testa”, aveva detto Iddio a satana, serpente viscido del male. E’ bello vedere l’immagine dell’Immacolata che schiaccia la testa del serpente. Perché? Perché come tutti sapete al serpente, gli potete tagliare la coda e continua a vivere : lo potete tagliare a metà e continuerà ancora in qualche modo a vivere. L’unico modo per ucciderlo è colpirlo sulla testa. Schiacciarlo nella testa. Quando ero missionario in Africa -  e sono stati gli anni più belli della mia vita - quante volte mi sono imbattuto in serpenti! Era una cosa straordinaria vedere i miei amici africani che mi accompagnavano tramortire e poi uccidere i serpenti con un bastone dando colpi sulla testa del serpente. Maria viene rappresentata mentre schiaccia la testa del serpente. Il serpente continua a muovere la coda e a dare fastidio, ma ormai è immobilizzato ed è “prigioniero” di Maria. Satana non potrà più essere il padrone dell’uomo: questa è la verità, che non dobbiamo mai dimenticare. Satana continuerà ad essere il prepotente e bugiardo assassino del cuore dell’uomo, ma non potrà mai ucciderlo, se l’uomo volontariamente non gli  apre autonomamente la  porta del suo cuore.

Nelle nozze di Cana Gesù rivolgendosi a Maria con l’appellativo di “Donna” ne richiama profeticamente la missione,  evocando il dramma del peccato originale e la promessa di Dio quando al serpente assicurò che una “Donna” gli avrebbe schiacciato la tesa. In questa luce si comprendono meglio le parole misteriose di Gesù::”Che c’è tra me e te…non è ancora giunta la mia ora”. Nell’invito di Maria Gesù aveva colto una spinta ad anticipare l’opera della salvezza, che è l’ora della croce. La Madonna non replica a queste parole di Cristo. Guarda e non risponde: la sua risposta è la chiamata dei servi ai quali dice: “Fate quello che vi dirà”. Conosciamo il seguito del racconto. Gesù ordina loro: “Riempite queste anfore d’acqua e servite”, e l’acqua diventa vino per la gioia degli sposi e di tutti gli invitati.

La scena delle nozze di Cana ne preannuncia dunque un’altra, quella del Calvario, dove Maria sarà associata al mistero della salvezza, quale Madre del Salvatore e Mediatrice della sua grazia. Non si insisterà mai a sufficienza nel sottolineare l’unione che lega la Madre al Figlio, Maria alla missione di Gesù. Il Concilio Vaticano II evidenzia bene questa verità ponendo la riflessione teologica su Maria nel contesto della trattazione sulla Chiesa ( nel cap VIII della Costituzione Dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa).

Sempre in questa scena c’è ancora un dettaglio da evidenziare ed è la fiducia dei servi, i quali, probabilmente proprio perché conoscevano Maria, si fidano di Gesù che forse incontravano per la prima volta.. Gesù ottiene la fiducia dei servi, i quali, al suo ordine: “riempite le idrie d’acqua”, le riempiono veramente. Avrebbero potuto dire:  “Cosa vuole? Chi è? Perché?”. L’opera della salvezza esige la collaborazione di tutti; in questo caso nei servi possiamo vedere tutti noi, ciascuno di noi chiamato a rispondere in prima persona alla proposta della salvezza di Dio e a porre la sua vita a servizio del Vangelo e a servizio dei fratelli. Ecco la collaborazione dei servi all’opera della salvezza, che domanda fede, domanda fiducia. La fede è fiducia, è fidarsi di Dio e suscitare fiducia negli altri. Questa scena in cui abbiamo contemplato l’intervento della Madonna e il miracolo compiuto da Gesù, ci offre così il modo di leggere la realtà di oggi.. Quale è uno dei rischi più grandi dell’umanità oggi? È la mancanza di fiducia, mancanza di fiducia in se stessi, mancanza di fiducia negli altri, mancanza di fiducia in Dio. Mancanza di responsabilità, non obbedienza verso l’autorità e senso di sfiducia diffuso verso tutto, con un rifiuto delle regole. Ognuno vuole fare quello che vuole preoccupandosi di salvaguardare solo i propri interessi. Ma posso pensare di costruire il bene per me se non rispetto gli altri e penso solo a me stesso? Come può venire un bene dal male, come si può costruire qualcosa di buono se ognuno si sente padrone di fare quel che vuole? Può l’uomo fare qualcosa di buone per sé senza o addirittura contro Dio? C’è qui un invito a riflettere, a scoprire che l’umanità oggi ha bisogno di rimettere le sue mani nelle mani di Dio. La scena delle nozze di Cana ci indica la strada da percorrere: ascoltare Maria. E lei ci indica  la strada dell’obbedienza e della fiducia che ci conduce sulla croce.. Gesù sulla croce, dà la sua vita, allarga le sue braccia e ci consegna Maria come Madre. Sulla croce Gesù ha consumato il suo amore per noi e sotto la croce Maria ci ha accolti come suoi figli. Da Cana a Gerusalemme, dal banchetto delle nozze di Cana al sacrificio della Croce, Maria  e Gesù appaiono profondamente uniti. Le nozze di Cana  richiamano dunque il Calvario e questo mistero lo riviviamo costantemente  nell’Eucaristia.

A questo proposito, non sarebbe completa la nostra riflessione se dal Calvario dove Cristo muore per noi, non facessimo un piccolo passo indietro, di un giorno, di poche ore. Il Venerdì Santo si consuma il sacrificio di Cristo, ma il Giovedì Santo, nell’Ultima Cena nel Cenacolo, era avvenuto qualcosa di molto importante: San Paolo nella lettera ai Corinzi, al Capitolo 11, ci racconta l’Ultima Cena e forse si tratta del racconto più antico che noi abbiamo, racconto ripreso dai tre evangelisti Luca, Marco e Matteo. Diamo un rapido sguardo al contesto in cui colloca  il racconto San Paolo:rimprovera i Corinzi perché quando celebravano l’Eucarestia, mangiano, bevono, chi arriva prima si ubriaca … insomma  Paolo dà alcune direttive disciplinari. E spiega che si tratta di una cosa veramente importante. Dice: “Io vi comunico quello che io stesso ho ricevuto, nella notte in cui Gesù fu tradito, prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: fate questo in memoria di me” lo stesso fece con il calice del vino: “fate questo in memoria di me”. Dei tre Evangelisti, Matteo, Luca e Marco, solo Luca riprende questa parola, “fate”, gli altri non ce l’hanno; è interessante che sia Luca, perché Luca era alla scuola di Maria, Luca è stato vicino alla Madonna, Luca ci racconta l’infanzia di Gesù e con gli Atti degli Apostoli ci racconta la nascita della Chiesa.

“Fate questo in memoria di me”. Queste parole ci conducono nel Cenacolo e ci fanno capire che non bisogna mai scindere la crocifissione di Gesù dall’Ultima Cena. Sono due scene che raccontano la medesima verità: il sacrificio redentore di Gesù. Egli dà la sua vita sulla croce, anticipando questo dono nell’Eucaristia.  Gesù  ci lascia se stesso e ci dice: “Fate questo in memoria di me”. Fate, ma che cosa? Ce lo fa comprendere Giovanni, il quale non racconta l’Ultima Cena, ma al suo posto pone la lavanda dei piedi. Il capitolo 13 inizia così: “Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine” cioè fino al colmo. Prima di consumare il banchetto pasquale – continua san Giovanni – il Signore si mise il grembiule e lavò i piedi ai suoi discepoli e alla fine disse: “Fate questo in memoria di me”. Ritorna ancora questo invito: “fate”. La Madonna aveva detto: “Fate quello che vi dirà Gesù” ai servi,  e i servi portarono l’acqua trasformata da Gesù in vino. Nell’Ultima Cena la Madonna era probabilmente presente, silenziosa come tutte le donne, che non avevano diritto di intervenire, ma assistevano. E’ testimone di quanto ora Gesù dice ai suoi discepoli ai quali insegna ad essere “servi”. Ordina agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me”. Fate! Consegna loro come comandamento l’amore, l’amore che si fa servizio, che si fa dono verso gli altri, l’amore che diventa il linguaggio con cui i cristiani toccano il cuore della gente: l’Eucaristia è dono di amore che trasforma la vita in dono di amore. 

Cari ragazzi, ma perché siete qui? Perché siamo qui noi? Perché Suor Elvira, un giorno, toccata dello Spirito di Dio ha sentito che doveva amare, che credere è amare. Quando ognuno di noi si lascia toccare dallo Spirito di Dio, e si lascia trasformare dall’Eucaristia, trasforma se stesso in amore: questo “fate” diventa moltiplicatore di benedizioni e di pace. Fate! “fate quello che vi dirà”;- continua a ripetere Maria, fate quel che dirà Gesù: E il Signore continua a ripetere: “Fate questo in memoria di me”. Ogni volta che celebriamo l’Eucarestia, ricordiamo il prodigio che si è compiuto a Cana, banchetto di festa di nozze che ci orienta al sacrificio della Croce, sacramentalmente anticipato nell’Ultima Cena. Nel Cenacolo Gesù lascia ai suoi discepoli come distintivo l’amore: è l’amore il messaggio profondo che ci deve distinguere. L’amore che non è un sentimento, l’amore che non si contenta di parole, l’amore che è impastato di sofferenza perché è il martirio del cuore, l’amore che è seminatore di gioia, l’amore che fa risplendere il sole là dove le tenebre dell’egoismo cercano di spegnerlo continuamente. .Se voi siete usciti dal dramma della droga, se voi volete riconoscere il volto dell’amore, non c’è. altra strada che quella di amare gli altri, amarli per primi. Dare la vita: nulla si perde quando si dona, tutto si guadagna quando si spende la vita, come Gesù, per gli altri: “Fate questo in memoria di me”.significa:  amate come io vi ho amato. Sempre e tutti.

Oggi noi siamo qui a celebrare la Festa della Vita, l’icona che vedrete qui vi ricorderà questa nostra riflessione, vi ricorderà tre  indicazioni fondamentali per la nostra vita cristiana:
-Innanzitutto che l’invito di satana alla disobbedienza, il suo “non fate come Dio vi dice”, è stato inchiodato sotto il piede della Madonna, per cui è possibile a tutti noi, con l’aiuto di Maria, non lasciarci più schiavizzare dall’egoismo, dall’odio, dall’impurità e da tutto ciò che evoca il nome di satana, spirito della divisione, spirito della confusione, spirito della ribellione.
-La seconda cosa che ci ricorda questa icona, è che la Madonna  continuamente ci rimanda a Gesù, e ci dice: “Fate quello che vi dirà” e “Non abbiate paura”. Che cosa comporta “non abbiate paura e fidarsi di Gesù”? Comporta uscire da se stessi . Cerchiamo di capire: l’uomo è l’unico essere che si realizza uscendo da sé. Sei disordinato? Metti ordine intorno a te e metterai ordine dentro di te. Sei timido? Hai paura degli altri? Cerca di amare gli altri, di aprirti agli altri, e dentro di te si aprirà il cuore. Sei triste? Hai voglia di chiuderti in te stesso? C’è vicino a te qualcuno che è triste, amalo, apriti, sorridigli . Dobbiamo amare anche controvoglia … a forza? Certo! Sorridi con forza perché il sorriso che dai all’altro apre il sorriso dentro di te! L’uomo è fatto così, ognuno di noi si realizza in questo modo. Questa è la catechesi continua di Dio. L’amore ci apre agli altri  e non ci fa più considerare noi stessi il centro del mondo, anzi nemmeno il centro di noi stessi. Chi ama non ragiona più così: mi sento triste, e oggi tutti devono essere tristi oggi mi sento contento e tutti devono essere contenti. Questo è essere schiavi del nostro egoismo. Come si vince? Uscendo da noi stessi. “Fate tutto quello che vi dirà” è una grande scuola di vita. E’ l’ascolto di Gesù, l’ascolto di Maria e …se qualche volta, non ci riusciamo, la Madonna è sempre lì a darci una mano, è sempre lì a indicarci la strada dell’ascolto di Dio, Lei che per tutta la vita è vissuta accanto a Gesù ed è la Donna dell’ascolto costante. Nella preghiera ci poniamo alla sua scuola e impariamo a fare quel che Gesù ci chiede, a farlo per amore, tutto per amore.
-In terzo luogo, accanto al “Non fate” di satana, all’invito di Maria: “Fate quello che Gesù vi dirà”, c’ una terza parola che  dobbiamo scrivere bene nel nostro cuore: Gesù non ci dice in primo luogo: “Amami”, ma: “Ti amo”, ci insegna cioè che l’amore è un dono che continuamente ci trasforma in dono. Gesù non ci chiede di fare tante cose per Lui - molte volte la religione viene vista e concepita  come un sforzo di fare chissà cosa.- è invece lasciarsi amare, lasciarsi  abbracciare da Dio. Ma come faccio a lasciarmi amare quando vedo che le cose vanno storte?  Anche nelle situazioni più storte c’è il dito dell’amore di Dio. Sappilo riconoscere! Per definizione, noi cristiani siamo dei contemplativi, che non si preoccupano di fare chi sa che cosa, ma lasciano lavorare lo Spirito Santo dentro di loro, lasciano fiorire il prodigio dell’amore. Ecco la preghiera, preghiera profonda, di ascolto, che poco per volta, rende il nostro cuore un terreno fertile dove nasce la pianta della vita.


Manca  un’ultima scena alla nostra meditazione, quella descritta nel capitolo 21 dell’Apocalisse che lega così l’inizio della Bibbia, che si apre con  il libro della Genesi, alla visione finale ricca di speranza: la Gerusalemme celeste simbolo della Chiesa nella gloria. Alla fede, all’amore ecco dunque unirsi la speranza che ha il volto della gioia, anzi anticipa la gioia futura. In verità  la Bibbia è tutta un messaggio di speranza, che apre il nostro cuore continuamente alla speranza! Noi cristiani, non abbiamo mai il diritto di essere tristi, abbiamo sempre il dovere della gioia. Possiamo anche dire che  la felicità non è un lusso, non è un sentimento, ma un dovere che ci qualifica come credenti. Mi ricordo quando stavo per diventare sacerdote, nel 1974, ebbi modo di incontrare  il Papa Paolo VI e gli dissi: “Santità, sto per diventare sacerdote, vorrei che Lei mi dicesse una sua parola, mi desse un suo consiglio”. Il Papa mi fece una domanda: “Ma chi è il prete?”, io: “Il ministro di Dio, quello che dà i sacramenti, il testimone del Vangelo”, “Sì, sì”- disse il Papa prendendomi le mani e stringendole come faceva lui - con una partecipazione profonda, mi guardò negli occhi e mi disse: “Ricordati, il prete è il testimone della gioia”. Dove non c’è gioia non c’è Dio, dove non c’è gioia vuol dire che c’è qualcosa che va rimosso. La gioia certo non vuol dire non avere problemi, ma credere e sentire presente Dio, che è la gioia, la nostra felicità. Guardare a Lui è già camminare verso la nostra felicità, meta della nostra esistenza terrena. San Agostino, in uno dei suoi molti commenti alla parola di Dio, osserva che “se a un navigante, togliamo la speranza di raggiungere la meta, immediatamente gli vengono meno le forze”; così con noi, se non sappiamo dove andiamo, ci perdiamo per strada, e oggi tanti ragazzi non sanno più dove vanno, tante persone non sanno più perché vivono, per chi vivono. C’è un proverbio napoletano che dice: “Si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi”. Nella nostra vita dobbiamo sapere per chi viviamo: chiediamoci spesso quale sia lo scopo della nostra vita. Se è Gesù, tutto in noi si ricompone. Ecco perché è importante che in conclusione della nostra meditazione, facciamo risuonare dentro di noi questa parola, il “non fate” di satana sconfitto dal “fate” della Madonna che dice: “Fate quello che Gesù vi dirà”, e soprattutto Gesù che dice: “Fate questo in memoria di me”.

Ricordati e ama, ama e ricordati, e tutto questo guardando già a quel che Dio farà. Ieri Suor Elvira raccontava: “quando venni qua a Saluzzo in questa casa, c’era tanto fango, tutto era abbandonato; le mie sorelle mi hanno accompagnato, poi sono andate via, io sono rimasta sola e ho come visto già tutto ciò che c’è ora”! E’ la stessa cosa nella nostra vita, dobbiamo guardare in alto, dobbiamo già sapere quello che ci aspetta, quello che noi stiamo preparando; non viviamo chiusi nel giro di poche cose, ma coltiviamo sempre prospettive grandi e alte. Quando leggiamo il capitolo 21 dell’Apocalisse ci appare una grande visione. L’Evangelista del cuore di Gesù la descrive così: “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più”. Il mare è il simbolo della sofferenza, nel linguaggio biblico, simbolo della fatica, nel mare il navigante rischia di affogare, il mare è salato, ecco perché nel linguaggio biblico, il mare è simbolo della tristezza, della sofferenza, della fatica. “Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”. Ritorna qui il tema delle nozze, come una sposa pronta per il suo sposo, le nozze di Cana, anticipano già questa grande festa, che noi prepariamo qui sulla terra. Nella Comunità, voi, cari ragazzi,  riscoprite la gioia di stare insieme, la gioia di vivere insieme, la gioia di amarvi, di amarci, di amare Dio insieme. Se questo avviene, siamo già nella Città Santa. Attorno può cadere il mondo, Dio non ci abbandona. Viviamo già nella prospettiva dell’eternità. Infine risuona una voce: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro”, cioè Dio è con noi, non dobbiamo mai dimenticarlo: Emanuele, Dio è con coi e ci accompagna. Perché allora essere tristi?

Un giorno San Benedetto a uno dei monaci in crisi e tentato di lasciare il monastero -  alcuni di loro venivano da esperienze drammatiche – tentato dunque come se uno di voi volesse andare via dalla fraternità perché non ce la fa più,  domandò: “Perché vai via?”. Il monaco gli rispose: “Ho litigato con i fratelli”, “ho litigato, diremmo noi oggi, con il responsabile”, e San Benedetto: “Hai litigato con Dio?”, “Sì, ho litigato con Dio”, e San Benedetto: “Bene, Dio non ha litigato con te”. Traduco in termini molto semplici un fioretto di San Benedetto che a raccontarlo sarebbe assi più lungo. San Benedetto disse a quel monaco: “Ricordati quale è il principio fondamentale della nostra regola, non anteporre nulla a Cristo; torna, vai da Lui perché se tu lo hai abbandonato, Lui non ti ha abbandonato”. Questo monaco tornò, è diventato un santo, è andato ad evangelizzare una parte dell’Inghilterra. Ecco ci sono dei momenti in cui possono succedere delle cose di questo tipo, ma è importante che ci ricordiamo che Dio è con noi, che Dio non ci abbandona, che Dio ci ama. Egli tergerà ogni lacrima. Se andiamo a leggere queste parole nel testo originale greco, vediamo che non sta scritto che Dio tergerà le nostre lacrime domani, ma che già oggi le asciuga con la sua misericordia. Dovremo allora dire: “Egli sta asciugando le tue lacrime … non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento perché le cose di prima sono passate”, questa è la prospettiva in cui vivono coloro che sono nell’amore.

Le parole con cui concludiamo la nostra meditazione, sono il tema della Festa della Vita: “A colui che ha sete, darò generosamente acqua della fonte della vita”. Abbiamo cominciato dicendo che mancava l’acqua, e concludiamo che a chi lo chiede, Iddio darà generosamente l’acqua della fonte della vita, che è lo Spirito Santo. è il dono dello Spirito che continuamente ci fa vivere e illuminati da questa grande prospettiva, trascorriamo ogni giornata nell’ascolto della Parola di Dio; ascoltiamo questi “fate” e scriviamoli nel nostro cuore, perché anche noi, come direbbe San Paolo, possiamo diventare “facitori” della verità nell’amore, pietre vive, come direbbe San Pietro, per costruire l’edificio spirituale che è la Chiesa, dove regna per sempre Dio che è l’Amore. Sia lodato Gesù Cristo.

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