ItalianoHrvatskiEnglishFrançaisDeutchEspañolPortuguesePo PolskuSlovakia     

 

don Ivan Filipović - Omelia

Omelia di don Ivan Filipović – Santa Messa del pomeriggio
Celebriamo questa Messa con l’intenzione dell’evangelizzazione di tutti i popoli, è una messa missionaria. E in questi giorni la liturgia ci propone il capitolo decimo del Vangelo di Matteo, dove Gesù fa quello che gli studiosi chiamano “Il discorso missionario”. Mi sono ricordato che all’inizio di questo capitolo Gesù chiama per nome i dodici apostoli e li manda, e ieri, sempre nel Vangelo, Gesù ci diceva come dovrebbe essere un suo missionario, un suo discepolo che porta l’annuncio del Regno di Dio nel mondo.
La nostra Comunità è anche missionaria, ma non solo perché abbiamo le missioni nei paesi lontani, è missionaria perché Dio ha voluto accogliere noi giovani per annunciare a noi il Regno di Dio, perché incontrassimo Gesù vivo che è la sorgente della vita, per poi condividere con tutti la gioia di questo incontro.
Pensavo a come ho incontrato questo Dio vivo quando sono entrato in Comunità. Come ha fatto la Comunità ad essere missionaria nei miei confronti, quando dodici, tredici anni fa anch’io sono venuto al Cenacolo con la morte nel cuore?
Mi viene in mente un fatto accaduto quando il mio cammino comunitario era iniziato da pochissimo, venti giorni forse, una cosa che mi ha toccato tanto nel cuore.
Sapete come si è quando si arriva in Comunità: ti raccontano tante cose, tu fai tante domande, loro ti parlano di questo e di quell’altro, e nella testa ti cresce una gran confusione perché ci vogliono almeno tre mesi prima che inizi a capire qualcosa.
Io in quei primi venti giorni ero molto, molto confuso: sentivo spesso parlare della Provvidenza, era una parola molto usata, i ragazzi dicevano “preghiamo per la Provvidenza, fidiamoci della Provvidenza”. Io poi sono entrato a Ugljane in Croazia, e a quell’epoca c’era la guerra e pregavamo tanto per questo dono perché non avevamo quasi niente: mangiavamo sempre fagioli in scatola e grazie a Dio ogni tanto la Caritas italiana ci portava qualcosa. Con venti giorni di Comunità questo discorso sulla Provvidenza mi sembrava molto banale, facevo fatica a crederci, mi sembrava una storia raccontata.
Una sera facevamo condivisione in cappella, eravamo lì e ognuno diceva ciò che aveva vissuto in quella giornata; io non parlavo ancora l’italiano e un ragazzo mi traduceva ciò che veniva detto.
Ad un certo punto al ragazzo che stava parlando si è “rotta” la voce e ha cominciato a piangere, e quello che mi stava traducendo è rimasto in silenzio e ha abbassato la testa. Io ho iniziato a tirargli delle gomitate perché non capivo che cosa stava succedendo: tutti erano in silenzio e tutti avevano la testa bassa.
Dopo la cena sono andato da quel ragazzo che prima traduceva in cappella, che era il mio “angelo custode”, e gli ho chiesto di spiegarmi perché quel ragazzo aveva cominciato a piangere e perchè tutti erano rimasti così in silenzio. Lui mi ha guardato con gli occhi un po’ tristi e mi ha detto: “Abbiamo tradito la Provvidenza!” e poi ha aggiunto: “Ti ricordi che oggi abbiamo finalmente bevuto il caffè dopo diversi giorni che mancava? Abbiamo bevuto il caffè perché qualcuno lo ha chiesto, lo ha “baccagliato” a degli amici e non perché ci siamo fidati di Dio: abbiamo tradito la Provvidenza!”.
Quel ragazzo in cappella piangeva per questo e le sue lacrime mi hanno toccato il cuore.
Oggi quando penso alla nostra come ad una Comunità missionaria penso che il primo missionario che ho incontrato in Comunità sia proprio stato quel ragazzo, le sue lacrime.
Avevo davvero il cuore tanto indurito dopo dieci anni di droga e di male, ma le lacrime di quel ragazzo hanno avuto la forza di abbattere quella durezza. Quelle lacrime mi hanno parlato di quel ragazzo, ho capito che lui nella Provvidenza ci credeva veramente, aveva fede in Dio.
Attraverso quel ragazzo Dio mi è venuto incontro e si è fatto incontrare. Oggi quando leggo il Vangelo e Gesù mi dice come deve essere un vero missionario, mi accorgo che quel ragazzo aveva un cuore missionario, quel ragazzo sapeva condividere tutto ciò che aveva: le sue cose, il suo tempo, la sua salute con noi ragazzi. E non solo con noi ragazzi: quando arrivava la Provvidenza, quando la Caritas veniva a scaricare qualcosa, lui prima condivideva con le persone povere del paese, con le donne che avevano i loro mariti in guerra.
Queste sono cose che non si dimenticano, ed ecco come la Comunità ci fa incontrare Dio.
La missionarietà è ogni giorno ed è nelle cose piccole, nello sguardo, nelle lacrime, nel sorriso.
In questi giorni prego tanto e desidero pregare ancora di più per voi genitori, per voi ragazzi e ragazze, per le vostre famiglie, per le nostre famiglie perché noi figli possiamo essere  missionari per voi genitori, perché il nostro sguardo, il nostro essere vi parli di quel Dio che stiamo incontrando in Comunità. E preghiamo perché anche la vostra vita, genitori, i vostri incontri al sabato, le catechesi che ascoltate, le Messe che seguite, il Dio che anche voi state incontrando, lo possiate testimoniare. Che genitori e figli possano essere missionari gli uni per gli altri, che la vita di ciascuno di noi parli di Dio.
Penso che essere missionari sia questo: vivere una vita che parla di Dio a chi sta vicino a noi. Dio, attraverso la Comunità, desidera questo perché è la nostra salvezza: incontrare Gesù, vivere Gesù. Quando incontri Gesù non puoi non diventare missionario.
Da quella missionarietà piccola, quotidiana, partono le grandi missioni per il Brasile, il Perù, l’Argentina, l’Africa.
Ma oggi Gesù, nel Vangelo missionario ci parla anche della persecuzione: non vuole raccontarci delle storie facili, non vuole illuderci, non vuole metterci una falsa speranza nel cuore: “...Ma si, stai tranquillo, come sempre tutto andrà bene!”. Gesù ci dice che la vita missionaria è una vita difficile: ancora oggi tanti sacerdoti rischiano la vita e vengono uccisi per il Vangelo. Quando penso alla nostra vita in Comunità mi rendo conto che noi qui facciamo una vita tranquilla: non siamo portati davanti ai tribunali, non rischiamo la vita, ma penso che il nostro passato, la tentazione di pensare con nostalgia alle libertà sbagliate, alla droga, al sesso... quello può essere la nostra persecuzione.
Il bisogno di sentirci falsamente liberi, quel sentimento di poter fare quello che vogliamo, la sensazione di non appartenere a niente e a nessuno, tutto queste cose sono rimaste impresse nella nostra memoria, hanno segnato la nostra storia e a volte possono essere vere e proprie persecuzioni che ci impediscono di fare il bene, di essere missionari fino in fondo.
Oggi capisco che la droga ha falsato completamente la nostra vita per tanti anni, e mi rendo conto che noi, ragazzi della Comunità, con questi ricordi, con queste esperienze forti alle spalle, apparteniamo ad una categoria di persone particolari, e anche voi genitori dovete tenere presente queste cose. Noi non saremo mai “normali”, noi non potremo mai far finta che non è successo niente: è successo! Siamo fragili e dobbiamo dirci la verità, ma Gesù ci ha promesso che Lui si farà forza nella nostra debolezza.
Il maligno ci tenta, ci perseguita e ci aspetta in questi ricordi; aspetta che usciamo dalla Comunità per tentarci in modo ancora più forte, e dobbiamo accettare che siamo così.
I genitori devono sapere queste cose per aiutarci e sostenerci nella preghiera, per capirci ed aiutarci.
Il Vangelo di oggi dice “Il fratello ucciderà il fratello, il figlio i genitori”. Oggi pomeriggio ho visto una madre uccidere suo figlio. Il Figlio era da un anno in Comunità e lei, che della Comunità non sa nulla, che ha lasciato abbandonato suo figlio per anni nella strada, è partita con il suo compagno molto più vecchio di lei ed è venuta a riprendersi suo figlio. Il ragazzo era tutto confuso: sono andati in ufficio a prendersi i documenti, sono saliti in macchina e se ne sono andati. Una madre che uccide il figlio. Questo Vangelo sembra esagerato, ma stiamo attenti perché la Parola illumina la vita di oggi.
Noi ragazzi della Comunità siamo stati chiamati a una missione straordinaria e siamo capaci di compiere questa missione nonostante tutta la nostra fragilità, che è reale. Dio però è la nostra forza: siamo noi quelli che hanno costruito questi capannoni, che hanno lavorato queste notti, siamo noi quelli che sono capaci di fare questi sacrifici, siamo noi quelli che sono partiti per le missioni, per il Messico, per il Brasile, siamo noi quelli che vogliono andare in Africa. Siamo noi quelli che hanno incontrato Gesù vivo, quel Gesù che si fa forza e speranza per tanti altri.
Questa sera faremo l’Adorazione che noi abbiamo chiamato "missionaria", la Madonna sarà con noi e con Gesù andremo a girare il mondo. Andremo in tutti i continenti, con Gesù busseremo al cuore di tanti giovani, andremo a raccontare a tutto il mondo che siamo stati fortunati ad aver incontrato Dio, che non abbiamo paura della nostra debolezza perché Dio si è fatto forza nella nostra vita, si è fatto speranza nei nostri occhi.
Andremo dovunque, e il bello sarà quando andremo nei nostri paesi: Italia, Croazia, Bosnia… fino in Argentina; busseremo alle porte di ogni nostra fraternità, al cuore di tutti i ragazzi, le ragazze, i bambini che in questi giorni non sono qui con noi.
Stasera saremo tutti insieme proprio perché siamo missionari, e condivideremo con tutti la gioia che brilla nei nostri occhi. E a voi genitori che non avete visto i vostri figli perché sono lontani, questa sera con Gesù e Maria busseremo al loro cuore, condivideremo quella gioia del Dio vivo che stiamo incontrando in Comunità. Siamo la Sua Comunità, siamo la Sua Opera: quanto siamo felici di essere stati chiamati, di essere Suoi missionari, e come lo racconteremo! Lo diremo a tutto il mondo ad una voce: la stessa fede, la stessa speranza, la stessa carità, lo stesso cuore.
In questa Messa accogliamo Gesù che si fa pane per noi, accogliamolo con fede perché ci rafforzi e ci faccia scoppiare il cuore di gioia, e questa notte portiamolo a tutti come una sola Chiesa, uniti al Santo Padre e a nostra Madre Elvira.

Stampa questa paginaStampa questa pagina