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Testimonianza genitori di Chiara Luce

Venerdì 15

Mamma Maria Teresa
Innanzitutto un abbraccio calorosissimo a tutti dal più profondo del cuore. Siamo Maria Teresa e Ruggero, ma, lasciateci dire, con Chiara, perché sentiamo che il suo spirito oggi è qui con noi. Lei vi voleva tanto tanto bene. Io, che sono meno brava di Chiara, un giorno le ero vicino al letto quando lei era lì paralizzata e le ho detto: “Non riesco a volere bene, ad amare i ragazzi che si drogano”. Lei mi ha guardata decisa in volto e poi mi ha detto: “Mamma, perché?”. “Ma perché loro hanno tutta la vita davanti, possono vivere ma, magari involontariamente, se la tolgono; tu vorresti vivere e non puoi”. Allora lei mi ha guardato e mi ha detto: “Mamma, tu li devi amare, gli devi voler tanto bene, perché non sai per arrivare lì quanto avranno sofferto, quanti problemi anche a causa della società”. Se noi siamo qua oggi, io sono felicissima perché so che lei voleva venire qua con voi a donarvi la sua esperienza, che è  tutto, tutto amore, come il vostro. Quindi oggi vivremo l’amore reciproco.
Facciamo un passo indietro. Ci siamo  sposati a ventisei anni e il nostro più grande desiderio era quello di avere dei figli, del resto come tutte le famiglie. Ma abbiamo  dovuto aspettare undici anni. Quando Chiara è arrivata ci è parsa subito un dono della Madonna. Ruggero l’aveva chiesto per l’ennesima volta in un Santuario della nostra diocesi e così è stato. Con il suo arrivo abbiamo avvertito di più la grazia del sacramento del matrimonio. Questa figlia completava la nostra  unione e aumentava l’amore tra di noi. Chiara cresceva bella, sana, ci dava tanta gioia. Ma avvertivamo nell’anima che Chiara non era solo figlia nostra, ma prima di tutto era figlia di Dio e come tale dovevamo crescerla nella sua libertà, che non significa che poteva fare tutto quello che voleva, ma nella libertà dei figli di Dio, quella dell’amore. Io sin da piccola le parlavo già un pochino di Gesù. Un giorno le avevo detto: “Tu hai due papà, uno lo puoi vedere, l’altro no, però puoi parlare con Lui con una confidenza estrema, dirgli tutto quello che hai nel cuore”. Lei mi guardava un po’, ma mi rendevo conto che capiva, pur essendo piccola. E incominciavo a raccontarle un po’ le parabole di Gesù, e così via. Aveva circa quattro anni, riordinava la sua cameretta e io riordinavo la cucina. Le ho chiesto: “Chiara, recitiamo insieme una preghiera?”. E lei decisa mi ha risposto: “Io non prego”. E sentivo dentro di me tutta l’autorità di madre che poteva richiederle l’ubbidienza, ma ho risposto: “Pregherò io anche per te”. E subito dopo ho sentito che Chiara recitava le preghiere con me. Poi un giorno è arrivata dall’asilo, col suo grembiulino e ha detto: “Vado a giocare un pochino da Diego”. Era una famiglia che abitava vicino a noi. “Sì, sì, vai”. Dopo un po’ arriva, aveva in mano una mela bellissima, sembrava dipinta; allora le ho chiesto: “Chiara, hai una mela?”, “Sì”, “E dove l’hai presa?”, lei ha detto: “Da Gianna”. “Ma gliel’hai chiesta?”. “No, ce n’erano tante su da quella scala, c’erano tanti plateau, io me ne sono presa una”. Allora, le ho detto: “Sai, gioia, ora gliela devi riportare, perché se glielo chiedevi lei te l’avrebbe data. Tu non hai chiesto”. “No, io non gliela porto” ha detto “portagliela tu”. “No, io non l’ho presa la mela, l’hai presa tu”. Ma la vedevo così cupa, così impaurita. Allora le ho detto: “Senti, tu vai. Io sto sul terrazzo e ti accompagno di qua”. La vedo ancora adesso scendere, così, con quella mela, e andava e mi guardava se io ero sul terrazzo. Io le sorridevo e le facevo segno che c’ero, che non si sentisse sola. Quando è tornata però era proprio cupa, direi arrabbiata quasi, e ho detto: “Come è andata Chiara?”. “Oh, la Gianna ha detto: ‘Quella tua mamma lì!’”. E lei se ne è ritornata nella cameretta e ha chiuso la porta. Dopo un po’ suona il campanello ed era Gianna che è arrivata con un bel cesto di mele, e dice: “Dov’è Chiara?”. “Nella camera di là”. “Chiamala”. Allora l’ho chiamata, Chiara è venuta e le ha detto: “Chiara, ti ho portato questa frutta così fai merenda con la tua mamma, perché oggi ti ha insegnato una cosa bellissima”. Aveste visto il sorriso radioso che le era tornato sul volto! Abbiamo iniziato così questo cammino nella verità. Poi come ho già detto Chiara cresceva bella e sana. A Sassello, dove abitiamo, sin da allora non c’erano divertimenti, non c’era niente. Ogni tanto andava a mangiare una pizza con i suoi amici: aveva costruito un bel rapporto con loro. A noi piace pensare a Chiara come una sportiva per eccellenza. La montagna le piaceva molto, faceva pattinaggio, giocava a tennis, ma al mare esplodeva, era una cosa proprio più forte di lei. Con questi amici e queste amiche si radunavano alla sera, a volte al sabato, in un bar, il “bar di Giuliano”.
Un giorno le ho detto “Ma Chiara, parli un po’ di Gesù ai tuoi amici?”; lei mi ha guardato seria e mi ha detto “No, non gliene parlo”; “E ti lasci sfuggire le occasioni? Ce li hai tutti lì…” e lei mi ha riguardato e ha detto: “Io non gliene devo parlare, glielo devo dare”; “E come fai?” le ho chiesto io; “Per prima cosa mi devo mettere in atteggiamento di ascolto, poi col mio modo di vestire, ma soprattutto col mio modo di amarli”. All’età di nove anni e mezzo, aveva fatto un incontro fondamentale per la sua vita che l’ha accompagnata fino all’ultimo: aveva incontrato i “GEN”,  la Generazione Nuova del movimento dei Focolari e qui con noi c’è la Chicca, la sua amica del cuore, direi quasi la sorella che l’ha accompagnata per tutto questo cammino.
Il parroco le aveva anche regalato il Vangelo, dopo la Comunione e la Cresima e lei leggendolo ci diceva “… non è solo da leggere, Chiara Lubich ci dice che bisogna viverlo, il Vangelo”.
Il primo dolore è stato quando ci siamo trasferiti a Savona, perché Chiara ormai doveva frequentare il ginnasio. Chiara ne ha sofferto perché con noi abitavano i nonni e Chiara li adorava veramente.
Aveva una nonna speciale, che parlava poco ma viveva e per lei è stata una grande testimonianza.
Chiara intanto nel ginnasio, per un’incomprensione, non so, per tanti motivi anche se studiava moltissimo, anche se faceva tutta la sua parte, era rimasta bocciata. Questo per lei è stato un dolore grandissimo, perché forse quello che la faceva soffrire ancora di più non era tanto la bocciatura, ma il fatto che  le sembrava un’ingiustizia. Ma ha continuato ad amare, ad amare l’insegnante, a passare subito di là, a vedere Gesù in questa persona ed è arrivata al liceo. Lì era felicissima: dei professori diceva: “Ci fanno innamorare della materia, è una cosa meravigliosa”.
Dopo circa tre mesi di scuola però ha incominciato ad accusare un dolore alla spalla, un dolore discontinuo, ogni tanto si lamentava ma poi a volte non diceva niente, quindi non le abbiamo dato molta importanza. Sino a che un mattino, prima di alzarsi dice: “Se non mi accompagnate a scuola io non ce la faccio questa mattina ad andare”; “Perché?” “Perché questa notte, questo dolore alla spalla è stato così forte, io non ho chiuso occhio!” “Stai a casa” “No” ha detto “ho un compito in classe di latino, voglio andare”. Allora papà l’ha portata.
Sono poi arrivate le vacanze di Natale, Chiara intanto questo dolore lo sentiva un pochino più forte, tanto che un giorno che eravamo a Sassello - al sabato andavamo su dai nonni - ha detto “Mamma vado a fare una partita a tennis e poi arrivo, va bene?”; dopo venti minuti è ritornata, ma io ho visto che era un po’ pallida salendo la scala, ho detto: “Come mai, Chiara, sei già a casa?”; “Ho accusato un dolore alla spalla così forte mamma,  ma così forte che mi è caduta la racchetta” e si è buttata nel letto così com’era.
Poi ha ripreso la scuola, ma io la vedevo che non andava più in palestra, si buttava, appena era libera, sul divano al pomeriggio, faceva un po’ di fatica. Nelle vacanze di Natale ha fatto qualche infiltrazione, ma è stato peggio, perché le era venuto come un callo osseo, tanto che lei ha detto: “Mamma, io mi voglio ricoverare perché voglio sapere quello che ho”.
Ci siamo allora trasferiti al “Santa Corona” perché è un ospedale più all’avanguardia, ma la prima volta hanno fatto i raggi e quando mi hanno chiamata hanno detto: “Signora, non è niente, forse giocando a tennis si è slogata una costola, è una cosa piccola, le facciamo un bendaggio, dopo poi lei tra venti giorni se lo toglie oppure se vuole glielo togliamo noi”. Ma il dolore aumentava, sino a che abbiamo dovuto ricoverarla.
Anche lì Chiara era molto servizievole. C’era una ragazza nell’altra stanza, una bella ragazza con tanti capelli tutti riccioli e amava farsi lavare i capelli da Chiara, tanto che un giorno che l’ho vista più affaticata le ho detto: “Non andare oggi a fare quel servizio lì a quella ragazza” “Perché?” “Riposati un po’” e lei dice “Avrò tempo per riposarmi”. Quella ragazza era lì per disintossicarsi perché era dipendente dalla droga e diceva: “Ma mamma, non viene nessuno a trovarla, non c’è nessuno: né i suoi genitori, né un’amica”; allora lei si dedicava a questa ragazza ed era felicissima di fare questo servizio.
“A proposito: domani mi è stata prescritta la TAC, ma voi non venite perché me la fanno domani mattina presto, venite alle due, all’orario di visita”. “Va bene” le abbiamo detto, ma il giorno dopo diluviava e noi alle sette e trenta entravamo già in ospedale e lei usciva con la sua cartellina sotto al braccio.
Chiara è andata in uno studio, ma niente e nessuno ci faceva pensare a una diagnosi tanto sconvolgente. Quando Chiara poi è uscita dice: “ Devo fare ancora un altro esame in questa stanza, poi arrivo, eh?”, ma con il suo sorriso gioioso di sempre che le vedete nella foto. Dopo arriva il medico, perché il primario non ha avuto il coraggio di venirci a dare la notizia e ha chiamato un altro; ci ha chiesto: “Siete i genitori?” “Sì” “Vostra figlia ha un tumore, il peggiore che ci sia: ha un osteosarcoma”. Io sento dentro di me un’angoscia che non si può descrivere a parole, mi sento morire. Ma ho capito che dovevo stare in piedi, perché quando Chiara usciva da quello studio avrebbe voluto vedere la sua mamma in piedi, non su una barella. Allora con Ruggero ci siamo abbracciati forte e abbiamo detto: “Solo Gesù può aiutarci a dire il nostro sì”. Non sappiamo come l’abbiamo detto, forse molto sottovoce per paura che ci prendesse in parola, però con forza abbiamo chiesto alla Madonna di tenerla per mano, perché era lei che doveva iniziare il suo Calvario. Volevamo portarla quasi in America, volevamo portarla da tutte le parti, ma si capiva benissimo che era inutile. Allora, una famiglia del movimento dei Focolari, Famiglie Nuove, ci hanno cercato una casa a Torino e ci siamo recati lì. Il professore ha detto: “Se avete questa comodità fermatevi qua”, perché Chiara aveva subìto il primo intervento, e poi ci ha detto: “Guardate, fra venti giorni voi dovete ritornare qua con Chiara perché bisognerà decidere il da farsi, la chemio, le cure …”. Non avevamo detto nulla a Chiara e lei non chiedeva nulla. I venti giorni in quella casa sono trascorsi velocissimi. C’erano due lettini, era una casa al piano terra con una grandissima vetrata da dove si vedeva un parco. Nel frattempo ho accusato un dolore a una gamba; siccome avevo già avuto la flebite, non volevo dirlo al medico perché volevo andare ad accompagnare Chiara. Ma lei se ne è accorta, ha chiamato il medico e mi ha fermata a letto. Allora ho detto a Chiara: “Ti accompagnerà papà”. E insieme ad una focolarina sono partiti. Quando Chiara è uscita mi sono arrabbiata molto con Gesù, moltissimo e gli ho detto: “Perché mi hai fermata? Se Chiara non ha ancora capito, quando arriverà davanti a quell’ospedale dove c’è scritto a caratteri cubitali ‘Oncologia’ capirà subito quello che ha e io devo essere accanto a lei in questo momento”. Così parlavo con Gesù, ma quella collera non è durata molto; ho cominciato a sentire dentro di me una pace, una pace grande. Allora gli ho detto: “Va bene, Gesù, se questa è la tua volontà io cercherò di farla nel miglior modo possibile, perché se ci riuscirò sono sicura che tu andrai al mio posto e farai le cose meglio di me”. Intanto guardavo sempre fuori da quel parco … Finalmente la vedo arrivare da laggiù in fondo e via via che si avvicinava vedevo che camminava un po’ più avanti del suo papà; era molto cupa in volto, guardava per terra, con le mani in tasca. E quando è arrivata alla porta le ho chiesto: “Chiara, come è andata?” e lei, senza guardarmi in volto, per due volte mi ha risposto: “Ora non parlare, ora non parlare” e si è buttata così com’era, con quel suo cappottone lungo, verde, sul letto, con gli occhi chiusi.
Io la guardavo, volevo dirle qualcosa, volevo dirle tante cose: “Ma poi vedrai, sei giovane”, non so, qualunque cosa … quel silenzio era terribile! E guardandole il volto, mi accorgevo,  anche se aveva gli occhi chiusi, di tutta la lotta che Chiara faceva dentro di sé per dire il suo “sì” a Dio.
Perché aveva imparato che doveva dire di “sì” a Dio sempre, sempre, ma sino ad allora glielo aveva detto nella gioia, non in un dolore così grande. E non ci riusciva, non riusciva a dire il suo “sì” a Gesù. Trascorsi venticinque minuti, Chiara si volta verso di me, con il suo sorriso radioso di sempre e mi ha detto: “Mamma, ora puoi parlare, ora puoi parlare”, ma io sentivo che non avevo più niente da dire a Chiara.
Chiara era riuscita a passare di là, a uscire da se stessa per dire il suo “sì” a Dio. Ci aveva impiegato 25 minuti a dire il suo “sì”, ma poi non si è più voltata indietro, ha camminato sempre con Gesù al primo posto e in quel “sì” che aveva ripetuto.

Papà Ruggero
Ad ogni difficoltà, ad ogni dolore Chiara si esprimeva sempre così: “Gesù se lo vuoi tu, lo voglio anch’io”, io cominciavo a meravigliarmi di questo comportamento, non riuscivo a capire dove trovasse tutta questa forza.
Io facendo il camionista ero sempre in giro, ero a casa solo alla sera e allora approfittavo per starle vicino. Nel frattempo era rimasta paralizzata alle gambe: le gambe si muovevano, si arricciavano quando era coricata, ma non se ne accorgeva; le andavano a destra e a sinistra e facevano una torsione nella spina dorsale dove era stata operata. Avevamo visto che se eravamo seduti su uno sgabello vicino a lei, quando lei aveva le gambe arricciate, noi mettevamo una mano sulle sue ginocchia e lei stava meglio, soffriva meno e allora era un modo per stare sempre con lei. Ricordo un giorno che mi aveva detto: “Sai papà, l’altro giorno ho chiesto alla Madonna di Lourdes due cose: se era possibile la guarigione, altrimenti la gioia nel fare la volontà di Dio”. Lì ho cominciato a capire che Gesù era molto vicino a Chiara.
In seguito mi ha detto: “Sai, ieri ho chiesto delle cose alla mamma” “E cosa le hai chiesto?” “Le ho chiesto: … ma è giusto morire a 17 anni? Io vedo le amiche correre, andare in bicicletta, andare a scuola…”, “E cosa ti ha risposto?”, “La mamma mi ha risposto: stai tranquilla, se Gesù ti ha tolto le gambe, ti metterà le ali”. Per me sembrava una cosa impossibile, forse io non sarei stato capace a trovare delle parole così profonde.
Poi, col passare del tempo, vedevo che Chiara viveva sempre meglio; veniva un sacerdote tutti i giorni a portare la Comunione ed avevano un rapporto bellissimo. Nel frattempo siamo ancora andati a Torino, il professore ci aveva detto tutta la verità, o che probabilmente non sarebbe guarita perché era una cosa molto avanzata e io mi chiedevo come faceva a essere così serena. Dicevo a Maria Teresa: “Ma come fa a vivere così? È sempre contenta, è sempre serena”, lei mi diceva: “Ma sai, lei vive per noi, allora quando apriamo la porta della camera ci fa un sorriso”, ma io non ero ancora soddisfatto. Allora mi sono messo a guardarla dal buco della serratura … però era sempre serena. Così il Signore mi ha fatto capire che stava facendo scendere una grazia su Chiara, una grazia che ci ha fatto vivere in una dimensione che non sono capace a spiegare, perché penso che le grazie di Dio non si riescano a spiegare fino in fondo.
Si viveva come sollevati da terra. Io mi ricordo, per spiegarvi, che è come quando uno sale su un aereo, si siede e poi guarda dal finestrino e vede le nuvole, la terra, il mare laggiù in fondo, in basso: noi vedevamo le nostre difficoltà, tutte le difficoltà di Chiara, ma erano laggiù, non ci toccavano, sembrava che non fossero per noi. Non so come dire, ho sempre più preso coscienza che Gesù ci teneva per mano, soprattutto Chiara, ma anche noi perché vivevamo così. Certo, c’erano dei momenti in cui ci sentivamo come uno su un ascensore che precipita giù, ci mancava il fiato, ma sapevamo che Gesù ci avrebbe ripreso per mano e ci avrebbe sollevati. Questa è una grazia di Dio, noi dobbiamo dire che non abbiamo meriti particolari; era una cosa naturale, una cosa che non riusciremo mai a spiegare fino in fondo.

Mamma Maria Teresa
Intanto continuavamo a viaggiare fra Sassello e Torino perché le terapie duravano una settimana, otto giorni e lei voleva sapere tutto. Anche con i medici è scaturito un rapporto bellissimo: Chiara non aveva bisogno di parlare, si può anche parlare nel silenzio. C’era anche una psicologa in questa équipe di medici e ogni tanto veniva da Chiara, poi un giorno chiede a me: “Signora, posso parlare un po’ con lei da sola?” e Chiara si è messa a ridere. “Sì, sì” le dico io. Quando è uscita Chiara rideva e ha detto: “Adesso attacca un po’ con te: prima lo diceva sempre a me. Vai un po’ a vedere che cosa ci deve dire” e quindi sono andata. Questa dottoressa mi dice: “So che Chiara fa parte di un movimento cattolico dei giovani” “Sì sì” le dico io; “Ma siete stati voi che l’avete obbligata ad andare in questo …?” “No, no” le ho detto io “al contrario, anzi: è lei che ha insegnato a noi”. Allora dice: “Perché signora, voi lo dovete sapere, Chiara parte, non guarisce più, bisogna cominciare a prepararla perché è grande, bisogna cominciare a prepararla”. Allora io le ho detto: “Va bene” e dice: “Sì, cominciare a dirle che poi muore, che poi va…”, allora io la guardo e le dico: “Ma Chiara lo sa, Chiara lo sa già, lei sa e dice: “Si nasce e si muore, quando Gesù vuole, ecco, questo avviene”. Questa dottoressa rimane in silenzio, poi un po’ dice: “Signora, può andare”, allora io mi sono alzata e sono andata. Il giorno dopo Ruggero incontra dall’ascensore il primario e gli chiede: “Ieri mia moglie è stata dalla psicologa. Professore, che cosa le ha riferito?” e lui ha abbracciato Ruggero con un braccio intorno alla vita dicendogli: “È venuta da me e ha detto: “Professore, lo psicologo loro ce l’hanno già”. Queste parole a Chiara hanno dato una grandissima gioia perché aveva capito, non noi, ma lei che anche nel silenzio era passato tutto.
Chiara era rimasta paralizzata. Era entrata anche nell’incontinenza, per cui si viaggiava con pannoloni e cose varie, dovevano sapere, come dire, quanti liquidi Chiara versava, quindi era un traffico. Un giorno arriva tutta l’équipe vicino al letto e il professore le dice: “Chiara sai, dobbiamo metterti il catetere”. Chiara ha guardato subito me; c’erano tutti quei giovani che fanno il tirocinio, che devono imparare; io ho visto che Chiara era molto addolorata. Quando sono usciti lei dice: “Mamma no, il catetere no, mamma, ma quei ragazzi hanno due o tre anni più di me”, perché le avevano detto: “Oggi verrà un ragazzo e ti farà questo servizio”. “Ti prego mamma, chiediamolo alla Madonna, ti prego, questo no”. Io le detto: “Se vuoi glielo chiediamo alla Madonna, ma se questo è utile per te, lo devi mettere.”; “Va bene, ma chiediamoglielo lo stesso!”, “Va bene”. Così abbiamo fatto e pregavamo. Al pomeriggio non è venuto nessuno, il giorno dopo neppure, poi arriva una dottoressa con un carrello. Chiara capisce, la dottoressa le parla e le dice: “Chiara, dobbiamo fare questa cosa così, ma non ti devi preoccupare”. Intanto Chiara l’aveva accettata di più perché era una mamma questa dottoressa, era cara, era di un’umiltà … era un tesoro. “Dobbiamo mettere il catetere”, allora lei le ha detto: “Va bene, se proprio si deve”, e le dottoressa: “Ma sai, Chiara, non te lo metto io.” “No?” dice lei e si impaurisce di nuovo. “no Chiara, te lo metterà la tua mamma”. Io guardo la dottoressa: “Dottoressa, ma io non sono capace, non l’ho fatto mai …” “Ma io le insegnerò”. Io ho visto Chiara illuminata, questo per Chiara era la risposta della Madonna e con un sorriso proprio radioso, ci siamo capite senza dire niente.
E così siamo andate avanti per un po’ di tempo, ma stare vicino a Chiara era una meraviglia, perché lei ci faceva sperimentare già il Paradiso da questa terra; in quei due anni ci ha insegnato tante cose!
Intanto si avvicinava il suo diciottesimo compleanno, io non dicevo niente, ma Chiara lo sapeva che avrebbe dovuto andare in ospedale per la chemio, allora ha detto: “Io non ci vado a festeggiare i miei diciotto anni nell’ospedale, sai mamma?”, “Ma non puoi Chiara, poi sballa tutto, la chemio, sai che bisogna ogni …”.
Sopra nella sua cameretta, sopra al letto, c’è un telefonino, lì vicino alla testiera e dice: “Mamma, va bene, gli parlo io al professore, glielo chiedo io”, “Va bene”. Lei telefona, il vice primario le risponde e dice: “Senti, Chiara, io non lo so, non lo so, tu sai …” e le dice: “Va bene, ti passo il primario.” Il primario risponde, lei dice il suo desiderio e dice: “Hai ragione, sai, Chiara? Festeggiare i diciotto anni nell’ospedale è una cosa proprio un po’ triste, hai ragione. Senti: vieni due giorni prima, faremo una chemio un po’ più forte e poi te ne andrai a casa a festeggiare”.
Lei mette giù e dice: “Hai visto mamma? Basta chiedere!”, così due giorni prima partiamo con la croce rossa e arriviamo là alla sera alle otto, io la lascio, vado su a riposare in collina dove ci avevano offerto questa casa e Ruggero rimane lì. Il mattino dopo, quando scendo per dare il cambio a Ruggero, c’era tutta la tapparella chiusa. Ho detto: “È successo qualcosa” perché Chiara non amava riposare al buio. Allora sono salita per le scale, non ho preso nemmeno l’ascensore, poi lì bisognava cambiarsi, mettersi la tuta bianca, le scarpe, la mascherina, tutte quelle cose, entro in quella camera buia buia e Ruggero mi fa segno di non parlare; allora mi avvicino al letto di Chiara, ma pianissimo, pianissimo, non respiravo quasi.
Chiara a me sembrava già morta, era eterea in volto … sudava. In camera c’era tanta confusione, si vedeva che c’era stato qualcosa, allora dopo un po’ lei apre gli occhi e come può sorride e dice: “Sei arrivata?” -“Sì”, ho detto, “ma cos’è successo questa notte? Bacinelle, flebo, siringhe, qui non si sa dove mettere i piedi…”. Allora lei dice: “Sai mamma, una notte così non l’avevo ancora passata, credevo di non vederti più. Ma sai, mamma, io non ho sprecato nulla, nemmeno tanto dolore così, ho offerto tutto, tutto a Gesù”. Io ho guardato Ruggero e sentivo dentro di me che dovevamo metterci in ginocchio davanti a Gesù, per ringraziarlo per le meraviglie che faceva dentro a quest’anima. Allora le ho detto: “Chiara, riposati un po’, poi dopo partiremo”. Lei ha detto: “Non mi interessano più i miei diciotto anni mamma, non fa niente”. Invece poi verso sera siamo riusciti a partire. Lei ci raccomandava che non avrebbe voluto regali, perché diceva: “Pigiami ne ho tanti, camicie anche, quindi non voglio nulla perché io ho tutto”. Quel tutto era Gesù, quella Gioia piena, quella Pace. E così abbiamo fatto. Abbiamo festeggiato questo compleanno così, ma intanto qualcuno, anche le zie, le avevano dato dei soldini e se li era messi in una busta. Dopo un po’ arriva un nostro amico focolarino a cui avevano chiesto di andare in Africa per fare dei pozzi, ma lui non ci voleva andare: aveva due bambini, non li voleva lasciare. Siccome Chiara lo desiderava tanto, adorava l’Africa, i bambini poveri, allora lui ha detto alla moglie: “Vado un po’ da Chiara.” Allora è arrivato, li ho lasciati soli, lui le dice questa cosa e lei gli dice: “Gian, non vuoi andare in Africa?” -“Ma ho la mia famiglia…”; “Senti Gian, tu vai, non ti preoccupare, io il materiale ce l’ho e offrirò tutto, tutto per te”. Allora lui decide e parte, va. Lei, che aveva messo in una busta quei soldini che le avevano regalato, ha detto: “Mamma, prendi un po’ quella busta”, “Perché?” le dico io, “Perché la voglio dare a Gian”; e io che, come vi ho già detto, non sono brava come lei, le ho detto: “Ma tutti?” -“Tutti”, ha detto lei.
Una sera lui era in Africa, era buio, le strade sconnesse, andava a casa con una jeep tutta rotta… dovevate vedere Chiara quando lui le raccontava queste cose quando è ritornato: “Io sono arrivato vicino ai bordi della strada, ho visto un qualcosa lì un po’ ammucchiato in una cunetta ma – dice - io non mi fermo”, poi si è ricordato e ha detto: “Ma Chiara come avrebbe fatto?” Allora è tornato indietro e c’erano due bambini: una di quattro anni e l’altro di quasi sei. Una aveva un polpaccio spappolato e l’altro aveva un braccino penzolante. Lui aveva sempre i soldi di Chiara in tasca perché le aveva detto: “A chi li do, Chiara, quando arrivo là?” -“Tu ascolta la voce della Spirito Santo: non sono più i miei, ma nemmeno i tuoi, Gesù te lo dirà”. Allora lui ha pensato: “Devo cercare i genitori di questi bambini”. Li ha raccolti e li ha portati in ospedale. Dice: “Chiara, ma mica sono gli ospedali come i nostri, eh? Lì, è una cosa terribile”, allora lei lo guardava tutta estasiata.  Poi è andato a cercare i genitori e ha visto il papà che aveva una pipa lunga, ma era buio quella sera, allora lui va con quella busta in tasca - non se la ricordava quasi nemmeno - e dice al papà: “Come mai non ha fatto curare questo bambino? Adesso perde la gamba!” Lui lo guarda, intanto aveva visto tre bambini piccoli là nel buio che si muovevano: “Ho dovuto decidere se curare la gamba a questo bambino o far morire di fame gli altri tre”. Ecco quei soldi sono finiti a curare i due bambini e ora, a distanza di tempo, diciamo: veramente, Chiara in Africa c’è andata! Oggi è stato costruito un ambulatorio, ci sono già le suore, i medici e tre case per i bimbi orfani dell’AIDS.

Papà Ruggero
L’emozione mi fa dimenticare tante cose. Io vorrei dire una cosa che per me è stata molto importante con Chiara. Quando eravamo nell’ospedale, Teresa ci stava tutto il giorno ed io ci stavo tutta la notte. Alla sera scendevo giù dalla collina ed andavo all’ospedale, ma prima passavo nel centro dei Focolari perché volevano sapere notizie, poi pregavano. Sono passato di lì ed un focolarino mi ha detto: “Guarda, Chiara Lubich ci ha mandato quattro o cinque meditazioni da fare, da portare a Chiara: gliele porti tu?” Ho detto: “Sì, sì” e mi ha dato questo plico di meditazioni che erano arrivate da Roma.
Come sono arrivato nell’ospedale, dico a Chiara: “Senti, Lorenzo mi ha dato queste cose, facciamo meditazione prima che la mamma vada in collina?” e lei mi ha guardato e mi ha detto: “Papà, in questo momento non ce la faccio, però se la mamma aspetta dieci minuti magari mi riprendo un pochettino, e così facciamo la meditazione.”
Poi lei ha guardato fuori dalla finestra, ha visto che stava per imbrunire, allora mi ha detto: “Papà presto, presto, facciamo meditazione che se no poi alla mamma viene buio”. Abbiamo letto questa meditazione e poi ci siamo detti come ognuno di noi era riuscito a vivere nella volontà di Dio il dolore di quel giorno, com’era riuscito a viverlo o come, magari, in qualche attimo, non aveva vissuto al cento per cento.
Così ognuno di noi ha fatto questa “comunione” e ci siamo detti l’uno all’altro come avevamo vissuto, come Gesù ci aveva aiutato, ed è stato un momento profondissimo perché Chiara mi ha detto: “Sai papà, quando abbiamo questa presenza così forte di Gesù in mezzo a noi, noi siamo la famiglia più felice del mondo”. Ma per me era così … adesso in questo momento sembrava impossibile, eppure io avevo questa gioia, perché Gesù, solo Lui fa le cose, solo Lui può dare questa grazia: ci aveva dato la grazia di vivere questa gioia.

Mamma Maria Teresa
Intanto Chiara si aggravava, allora un giorno ha detto: “Mamma, io non vado più a Torino, interrompo la terapia.”. “Ma Chiara, stai tranquilla...”, “Mamma passami il telefono, parlo io col professore”. Il professore risponde e le dice: “Chiara, sai a quello cui andrai incontro?”, “Sì, stia tranquillo, l’ho scelto io”. Quando ha finito di parlare dice: “Vedi mamma, basta chiedere”, poi dice: “Dammi un foglio e una penna” e lì ha scritto: “La medicina ha deposto le armi, oro solo Dio può.”
Incominciava la sua corsa verso questo Gesù, diventava sempre più luminosa, sempre più gioiosa e intanto veniva sempre questo sacerdote a portarle Gesù perché lei la forza l’attingeva nell’Eucaristia. Veniva sempre di mattina, un giorno è venuto di pomeriggio, lei aveva già l’ossigeno, intanto il medico voleva farle la morfina perché diceva: “La vita non gliela possiamo dare, ma toglierle le sofferenze sì”. Ne ha fatta una e poi ha detto: “Mamma, non la voglio più, la morfina non la faccio più”, “Perché Chiara?”, “Perché mi toglie la lucidità ed io ho solo il dolore da offrire a Gesù”.
Quindi via via era una scalata che faceva verso Gesù, suo sposo. Ci aveva chiesto il vestito da sposa e diceva “Semplice, semplice, eh?” perché avrà pensato: “Questi due qua chissà che vestito mi comprano. Così una focolarina ha detto: “Glielo facciamo noi, non andate a comperarlo” e la mamma della Chicca glielo ha fatto. Noi l’abbiamo appeso poi nell’altra camera e così via; lei si preparava per quest’incontro così.
Intanto con la Chicca si preparavano i canti per la Messa e io mi ricordo che un giorno si diceva: “No, Chiara, basta, perché se no stanotte non dormi”, e una mia sorella che non era abituata a sentire questa cosa le ha detto: “Chiara, io non resisto”. “Hai ragione zia, vai di là” ha detto, “se non resisti, però, quando muore una ragazza di diciotto anni, in cielo si fa festa”. E così è stato e continuavano a cantare, a registrare: all’ingresso questo, all’elevazione questo… tutte le cose ben ben precise.
Intanto cominciava a darmi delle consegne e diceva: “Mamma, quando tu mi vestirai, dovrai ripetere sempre per tre volte: Ora Chiara vede Gesù. Promesso?”, “Promesso”. Poi dopo una settimana diceva: “Mamma, ti dispiace lasciare la cameretta tutta com’è?”, “Se questo è il tuo desiderio, va bene, Chiara” … e così via. “Quando io entrerò in Chiesa, mamma, tu dovrai cantare forte, sai? Perché io di lì, come dire, dalla bara, canterò con te”. Un giorno ha chiesto: “A proposito, è pronto il vestito?” “Sì, è di là.” Io entravo in quella camera, lo vedevo lì appeso e chiudevo subito la porta, e dico: “Perché Chiara?”, “C’è qualche ragazza di là?” ha detto lei, “Sì, c’è la Chicca.”, “Allora dille che si misuri il mio vestito.”, “Me lo misuro io, Chiara”, “No, no, se lo misura la Chicca”.
Chiara ha continuato a giocare, è stata al gioco di Dio sino all’ultimo minuto.
Allora io chiedo questa cosa alla Chicca e la Chicca è arrivata con quel vestito da sposa; allora lei l’ha guardato e poi le ha chiesto: “Sali un po’ su quella panchina e girati di dietro, così lo posso vedere bene fino in fondo”. Allora ha fatto tutto quello che le aveva detto, poi Chiara ha guardato me con un sorriso, e lì abbiamo capito che veramente voleva vedere se era semplice come aveva detto.
Quel giorno il sacerdote è venuto al pomeriggio; lei aveva l’ossigeno, e chiede: “Mamma, ma non l’ha portato Gesù oggi don Lino?” Io lo chiedo e lui dice: “No, non vengo da casa: lo vado a prendere in ospedale così arriva subito”. Chiara ha ricevuto Gesù, poi l’abbiamo ricevuto noi come sempre, ma vi posso assicurare che in quel momento il cielo e la terra si toccavano: è stata una cosa meravigliosa. Poi a don Lino veniva da piangere e ha fatto per andare via, e lei ha detto: “Chiama don Lino e digli che reciti quella preghiera.”, “Quale preghiera?”, “Quella dello Spirito Santo, che incomincia: Vieni Santo Spirito, manda a noi dal cielo …” e poi don Lino va. Chiara viveva molto bene l’attimo presente perché diceva: “É lì che c’è la volontà di Dio, è lì, in quell’attimo.” Era già passato un attimo, allora ha detto: “Mamma, non abbiamo fatto ancora la meditazione oggi”, “La vuoi fare adesso?”, “Sì, la voglio fare adesso”, “E su che cosa la vuoi fare, Chiara?”. Aveva la cartellina con le meditazioni che arrivavano da Chiara Lubich, e dice: “Su quella che per titolo ha: “Le sei S: Sarò Santa Se Sono Santa Subito”. Io le tenevo le gambe e ho cominciato subito a leggere, ma non mi sono accorta che l’ho letta forse con un tono un po’ più mesto; lei, che era in Dio, già sollevata da terra, se ne accorgeva subito se noi scendevamo; allora mi ha messo una mano sulle ginocchia e ha detto: “Mamma, più su, eh? Più su”.
Poi, era un mattino che me la guardavo e sentivo di nuovo tanta gioia dentro di me, come un canto, e ho detto dentro di me: “Chissà Chiara che cosa starà pensando in questo momento?” ma l’ho detto dentro di me, non l’ho detto forte. Dopo un secondo Chiara ha aperto gli occhi e ha detto: “Sai mamma che cosa stavo facendo?”, “No, non lo so”, “Stavo cantando”, “Ah si? E che cosa cantavi?”, “Eccomi Gesù, anche oggi davanti a te, tutta rinnovata proprio come tu mi vuoi. E tu mamma che cosa stavi facendo?”, “Anch’io stavo cantando”, “E che cosa cantavi?”, “Ho bisogno d’incontrarti nel mio cuore”. Eravamo così all’unisono, sembrava che Chiara fosse ritornata dentro di me, non bisognava parlare, ci capivamo senza dire niente.
Poi un giorno, al pomeriggio, mentre le tenevo le gambe, ho visto che il volto di Chiara era proprio un po’ come sfigurato, allora ho detto a Ruggero che era dall’altra parte: “Uh, mamma mia, Chiara, come sta soffrendo, non l’ho vista mai così!”. Allora lei ha fatto segno con una mano perché mi avvicinassi, mi ha messo una mano tra i capelli e mi ha detto: “Mamma, ciao, sii felice perché io lo sono.” Ancora dopo un po’, nel pomeriggio, mi ha chiesto: “Mamma, chi c’è di là?”, “Tanta gente, perché?”, “Li voglio salutare”, “Non puoi, non puoi”, io volevo evitarle la sofferenza; “Ti prego”, lei decisa ha detto: “Mamma, io mi tolgo l’ossigeno, se no si impressionano, e tu apri la porta e falli entrare”. Allora la gente veniva e Chiara era radiosa, non lo so, come se io fossi andata a fare un viaggio in Africa con lei, ma lei partiva per il cielo.
Allora ha salutato tutti, poi ha chiesto: “Ma mamma, non ce ne sono di giovani di là?”, “Sì, ci sono”, “E falli passare”, “Ma no, Chiara…” Allora poi sono passati via via i giovani a salutarla, poi quando sono andati via le ho detto: “Chiara, ma tu ami proprio sino all’ultimo minuto”, e lei mi ha guardata e ha detto: “Mamma vedi, non ho più niente, ma ho ancora il cuore e con questo posso ancora amare”. Chiara ha salutato tutti alla grande, ma i giovani mi pare che li abbia salutati in un modo diverso. Lei ci diceva: “Mamma, i giovani, i giovani sono il futuro. Vedi, mamma, io non posso più correre e vorrei consegnare loro la fiaccola, sai, mamma, come fanno alle Olimpiadi, che uno corre con una fiaccola, poi ad un certo momento si ferma e consegna la fiaccola all’altro, perché hanno una vita sola e vale la pena spenderla bene”.
Ecco, questo è il testamento che ha lasciato a voi.

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