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Intervista a S.E.R. Mons. Diego Bona

S.E.R. Mons. Diego Bona, Don Diego come ama essere chiamato, Vescovo emerito di Saluzzo, è stato il "nostro" Vescovo: è il Pastore che la Provvidenza di Dio ha scelto per accompagnare in modo significativo il nostro cammino ecclesiale. Ecco dalle sue parole il racconto di quello che ha vissuto con noi nnegli anni in cui è stato alla guida della nostra Chiesa diocesana.

Carissimo Don Diego, fin dal suo arrivo in Diocesi l’abbiamo sentita particolarmente vicino. Cosa ha colto nel cammino della Comunità Cenacolo?
Avevo sentito da Madre Elvira, incontrata a Roma quando ero Vescovo di Porto Santa Rufina, che la guarigione dei giovani accolti nella Comunità Cenacolo arrivava mediante la preghiera ed ero rimasto sorpreso. Così, giunto a Saluzzo nel 1994, ho cercato di osservare dal vivo le comunità (erano tre nella Diocesi: sulla collina di San Lorenzo a Saluzzo, a Envie e al santuario di Madonna della Neve) ed ho visto come i giovani pregavano, spesso inginocchiati a terra davanti al tabernacolo e ci si accorge subito quando la preghiera è forzata o quando viene da dentro. Ed insieme il clima che si respirava nella casa, una comunione vera, ove ognuno aiutava l’altro o almeno provava a farlo ogni giorno di più, e la serenità che traspariva dai volti, vissuta nella libertà.

Cosa l’ha spinta a guardare a noi con fiducia e speranza, senza lasciarsi turbare dal nostro pesante passato?
Aver sentito i giovani e le ragazze delle Comunità raccontare le loro storie di vita.
Quasi sempre, al termine di un incontro, Madre Elvira chiedeva ad uno o due di loro di raccontare le loro esperienze, che era l’essere passati “dalle tenebre alla Luce” come titolava uno dei recital della Comunità. Ricordo la celebrazione di suffragio e di commiato di un giovane, e come il sacerdote nell’omelia confessava di non aver bisogno di credere nella risurrezione, perché l’aveva vista in questo fratello (che aveva saputo raccontarla in un canto molto amato dalla Comunità: “Rivestiti di luce”).

Nella Pentecoste del 1998 Lei ha riconosciuto la Comunità Cenacolo come Associazione di Fedeli: ci ha fatto l’immenso dono di un’identità ecclesiale. Che cosa l’ha convinta che il Cenacolo fosse un’opera di Dio con il volto della Chiesa?
Negli Atti degli Apostoli per due volte viene descritta la vita delle prime comunità cristiane (At 2,42 seg. e At 4,32 seg.) “perseveranti nella preghiera, nella frazione del pane, nell’insegnamento degli Apostoli e nella comunione fraterna, anche concretamente, fino a mettere le loro cose in comune”. ¬¬
Nelle Comunità Cenacolo vedevo le stesse caratteristiche e come si fa a non riconoscere il volto della Chiesa autentica, come “quelli di Gerusalemme”?
Ne ho avuto conferma quando, qualche tempo dopo, il Segretario della Congregazione per la Vita Consacrata, cui avevo presentato la storia della Comunità, mi ha suggerito di riconoscerla come “Associazione pubblica di fedeli”, passando dalla prima connotazione di “Associazione privata”, come una proposta autentica di vita cristiana.

Negli anni con Lei alla guida della Diocesi sono nate le missioni in America Latina, abbiamo vissuto il pellegrinaggio giubilare a Roma, sono sorte le prime vocazioni sia sacerdotali che alla vita consacrata, la Casa di Formazione, le adorazioni dei primi sabati del mese aperte ai giovani. Il suo sguardo di Pastore come ha vissuto e seguito questo cammino?
Ho guardato tutto questo con meraviglia e stupore, perché non era spiegabile senza l’irruzione dello Spirito Santo, il dito di Dio. Un passo dopo l’altro, senza un calcolo preordinato, come un filo che si srotola e segna la volontà di Dio che diventa chiara.
Ricordo quando mi è stato chiesto di accettare dei giovani della Comunità nel cammino verso il sacerdozio, la prima ordinazione sacerdotale, la proposta di Madre Elvira di dar vita all’itinerario di speciale consacrazione delle ragazze che premevano per questo cammino, come il giorno del Giubileo del 2000 con quella carovana di giovani e genitori che entravano a San Pietro per la porta santa, comunità di redenti e salvati, il popolo che Dio ama.
Così ho voluto esprimermi nella lettera-testimonianza al Pontificio Consiglio dei Laici che sta considerando il riconoscimento della Comunità da parte della Santa Sede: “segno di speranza per chi vive senza speranza, ferito e gettato ai margini della strada dell’esistenza, e grida la solitudine che Madre Elvira sentiva nella notti di preghiera, quando cercava come rispondere alla chiamata che urgeva nel cuore”. Come più volte ho detto, vedo nella Comunità Cenacolo un segno di credibilità del Vangelo, perché evangelizzare non è fare proseliti ma destare interrogativi, e chi incontra questa storia non può non interrogarsi domandandosi da dove viene questa gioia.  Tutto si può comprare e vendere nel mondo, ma la gioia no, quella viene quando si incontra Gesù Cristo, come scrive il martire Giustino nell’anno 150 d.C., quando difende davanti all’imperatore romano la scelta di vivere da cristiani.
Come “Padre” che ci ha amati e instradati nel cammino ecclesiale, ci doni un consiglio per proseguire spediti nella volontà di Dio.
Non so dare un consiglio, se non una calda esortazione a fidarsi di Dio, che ha fatto spuntare questo germoglio di Chiesa e l’ha fatto crescere fino ad estendere i suoi rami in tante nazioni della terra e non mancherà di suggerire - se stiamo nell’umiltà, nell’ascolto, nella fede e nell’insistente preghiera - la sua volontà per il bene di tanti fratelli e sorelle.
Con l’augurio che traggo dal vangelo di Giovanni “e questo ti meraviglia? Vedrai cose più grandi di questa!” (Gv 1,50).

Carissimo Don Diego, Le dobbiamo moltissimo. Grazie per come ci ha accolti, amati e seguiti nel suo ministero. Sappiamo di avere un posto speciale nel suo cuore, ma anche Lei sappia che ha un posto speciale nel nostro.
Le siamo infinitamente grati per tutto e per sempre.

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