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Padre Francesco Peyron - Catechesi

Padre Francesco Peyron dell'Istituto Missionari della Consolata.
Catechesi del mattino

Sia lodato Gesù Cristo.
Un grazie di cuore a Madre Elvira che ha voluto invitarmi oggi, e l’ho preso proprio come un invito della Madonna per poter parlare di Gesù, dell’amore che Lui ci dona e che ci chiede di donare agli altri. Vorrei proprio che questa parola di Dio che oggi cerchiamo di approfondire sia un po’ come il cibo: quando tu mangi, prendi il cibo e lo porti alla bocca, e così deve essere l’ascolto della Parola di Dio, che adesso leggeremo. Poi lo mastichi, il cibo, perché se no, poi ti fa groppo che ti fa venire il mal di stomaco: cercherò allora un pochino di spiegare, di masticare questa parola di Dio con voi. Ma questo non basta ancora. Il cibo deve essere digerito: una volta che è digerito diventa vita, diventa forza, allora i tuoi piedi si muovono, hanno energia, i tuoi occhi vedono. Questo è il lavoro che fa lo Spirito Santo quando tu dici “sì” alla Parola di Dio, perché puoi anche dire “no”. Vi faccio un esempio concreto: a un certo punto Pietro chiede a Gesù “Devo perdonare fino a sette volte sette?” E Gesù dice “No, fino a settanta volte sette”. A quel tempo non avevano calcolatrici, era un numero impossibile da calcolare. Noi conosciamo questa parola, la conoscete tutti bene. Di fronte al risentimento, di fronte al rancore verso qualcuno, ecco è il momento di digerirLo: “Sì, Gesù, dico sì alla tua parola, e anziché un “morsicone” o una testata nello stomaco, che adesso va di moda, ecco che tendo la mano di pace”.
Incominciamo allora col primo passo: portare il cibo alla bocca.
“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se fate quel che io vi comando. Io non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa che cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici perché vi ho fatto sapere tutto quello che ho udito dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo.”
“Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”, Gesù lo dice, lo vive, lo realizza concretamente.
Siamo nel contesto dell’ultima cena, un momento di intimità, un momento di grande comunione con i suoi discepoli, nonostante ci sia anche Giuda che lo tradisce.
Questo amore di Gesù si fa presente e vivo nonostante la presenza di Giuda che poi uscirà, preso il boccone, e la scrittura dirà “era notte”, per dire che in lui è entrata la tenebra, è entrato satana, non ha ascoltato la parola di amore.
Guardate che questo può capitare anche a noi quando non ascoltiamo la parola del Vangelo, non ascoltiamo la parola di amore, allora entra il male, la tentazione, incominciamo a vedere diverso, e poi c’è il buio, e il buio è la morte, nostra e degli altri. In questo momento di intimità Gesù dice questo e poi lo vive, lo concretizza morendo in croce per noi.
Penso che voi sappiate che a Torino c’è il lenzuolo della Sindone, quel lenzuolo che con quasi certezza ha avvolto il corpo di Gesù. Ed è successo questo miracolo: il corpo di Gesù ha impressionato il lenzuolo, forse per gli aromi che gli avevano messo addosso, e sviluppandolo dal negativo viene fuori proprio il corpo di Gesù martoriato.
E c’è un medico che ha fatto una descrizione, mostrando delle sofferenze inaudite di Gesù, e descriveva solo quelle fisiche, chissà poi quelle spirituali, il vedere chi lo tradiva, i discepoli che lo abbandonavano, sua madre che era lì che lo confortava e di fronte a sua madre dover soffrire così.
Ecco allora questo amore di Gesù per noi è vero, è stato allora ed è oggi, e ci porta due grandi conseguenze concrete. La prima: quel Gesù, che ha amato così, continua ad amarmi. Domanda: “Ci credi”? Ci credo veramente che quel Gesù mi ama così?
Se riesci ad entrare in questa dimensione, ad un certo punto sperimenti dentro una pace, una gioia! Se sei nella solitudine, e Madre Teresa di Calcutta dice che il più grande dramma dell’uomo di oggi è la solitudine, guardando al Signore apriti pensando che ti ama, e non ti sentirai più solo.
Se sei in un momento di depressione, di scoraggiamento, di paura, di tristezza, le cose magari non vanno, con la moglie non va bene, col marito non va bene, coi figli non va bene, col lavoro non va, la salute va come può, se ci sono delle situazioni difficili, e questa è la vita, tu guarda con intensità a Gesù, digli: “Signore, comunicami la tua pace”. Lui ha detto “Pace a voi”: apri la tua ferita, fa’ che la tua ferita diventi una ferritoia attraverso la quale entra questa grazia di Gesù.
Voi conoscete la Santa Faustina Kowalska, ebbene quel quadro che ha dipinto Santa Faustina sotto ordine, sotto dettatura di Gesù, ha proprio questi fiotti di luce colorata che escono dal suo costato. Questi sono un segno per dire che quella luce colorata non è soltanto una luce, ma è una potenza di Dio che esce da Lui e va in te se l’accogli.
Ecco allora: momento di disperazione, momento di paura, momento di solitudine, momento in cui penso di farmi le borse, momento di sofferenza… cosa fare?
Guardo lì, guardo a chi ha detto “Non c’è amore più grande di questo” e ho la certezza che questi fiotti di luce, se apri la porta, se fai della tua ferita una ferritoia, entra questa luce e cos’è questa luce? E’ pace, è coraggio, è spinta a vivere.
E come dice Gesù alla fanciulla, alla figlia di Giairo, “Talità Kum, alzati”!
Alzati! Siamo magari seduti nella nostra depressione, nella nostra paura, nel nostro scoraggiamento, magari nel nostro sonno, perché dormiamo, e Gesù dice “Alzati”! E guardando al crocifisso, ma con fede, con fede, come l’emoroissa che dice “Se soltanto tocco il suo mantello, io sarò guarita” e Gesù si accorge che una forza è uscita da lui e la guarisce.
È proprio questa fede che ci chiede la Madonna, è questa fede che ci chiede il Signore. È morto ed è risorto per noi, per me, per te. Noi lo valorizziamo troppo poco, lo lasciamo a volte così in disparte, in soffitta o in cantina.
Ecco allora il primo grande messaggio che ci viene è proprio questo: sapere andare alla fonte della vita, della luce, del coraggio, della pace, della speranza.
Quando hai sete e prendi una bottiglia di acqua, ti disseta.
Gesù ti disseta di più, perché disseta quella sete che ciascuno di noi ha di speranza, di gioia, di pace, di serenità. Chi di noi non lo desidera?
Ma allora andiamo alla fontana a prenderla, ecco la fontana è quel costato che è stato ferito dalla lancia del soldato e ne uscì sangue e acqua, cioè vita, purificazione, perdono.
Qui stanno confessando tanti sacerdoti: ecco una fontana concreta.
Ho tanti peccati che mi gravano, magari del passato, certe cose che non ho mai detto a nessuno, certe ferite, certi aborti, certe cose che mi pesano dentro. Vado lì, “Signore perdono”. E mentre il sacerdote ti dà quell’assoluzione visibile, è Dio che ti perdona e che dimentica. “Alzati”!
Io ho avuto la gioia, in alcune confessioni, in diverse anche in molte, di vedere la persona dopo che si è confessata che si alzava, che sorrideva e diceva “Ah, come mi sento leggero, che bello!”.
Perché la grazia era entrata, la luce, il perdono.
Ecco allora il primo grande momento di questa parola di Dio: sapere andare da Gesù, confidare, andare alla fonte della pace e della gioia, della serenità, ma proprio partendo dal concreto della tua vita.
Hai delle ferite nel cuore? Porti dei pesi? Hai qualcosa che dentro è un po’ come una pietra da rotolare via, come quella del sepolcro? Io credo che ciascuno se è onesto dice “sì”. Cosa fare?
Inginocchiamoci, preghiamo. Allora la Madonna ci stampi proprio nel cuore questa parola di Dio, “Signore io so che Tu mi ami, io so che Tu vuoi darmi questa pace e questa serenità, grazie Gesù, ho trovato la medicina, quella giusta”. Noi troviamo la vera medicina, Gesù, che ci libera dalla paura, dall’angoscia, dalla tristezza, dalla solitudine, dalla cattiveria, dal male, e voi qui ne siete i testimoni più credibili. È una grazia, un dono che avete ricevuto.
Quando vado nelle Comunità del Cenacolo, da tanti anni ho questa grazia di poterci andare per celebrare la Messa o per le confessioni, a volte esco un po’ quasi stordito, dico “Mah, hai visto cosa ha fatto il Signore?”. Una ragazza era entrata chiusa, che non sorrideva, che aveva dentro l’inferno, sono passati tre mesi: balla, canta, ti parla di occhi puliti, di vita, magari che vuole anche consacrarsi a Dio. Ma lì, chi è se non la potenza di quel costato crocifisso, chi è che suscita questi miracoli? Quanti di voi potrebbero venire qui a fare la testimonianza!
Mi ricordo una volta una di voi che ha raccontato questo: era drogata persa ed era fuggita con un suo amico a Londra, nel male.
Una notte in questa disperazione del male, dell’eroina, grida “Dio aiutami”! Ebbene, questo Dio invisibile, impalpabile, l’ha aiutata, l’ha fatta tornare indietro, le ha fatto rincontrare la sua famiglia, l’ha fatta entrare in Comunità. Lei ha fatto diversi anni di cammino in Comunità, adesso si consacra a Dio. Non è un miracolo della potenza del costato di Gesù, questo?
Ciascuno di noi può gridare a Dio, se lo vuole, e Dio ascolta sempre il grido quando parte da un cuore umile, da un cuore che dice “Signore sono fin qui nel fango, tirami fuori, aiutami”.
Il Signore è il buon samaritano che ferma il suo asino e scende, versa olio nella sua ferita, lo prende, lo carica sul suo giumento, lo porta all’albergo, e continua a farlo questo, se tu ti riconosci lebbroso, ferito. Vorrei che riuscissimo oggi a scoprire un po’ di più questa presenza di Gesù vivente in mezzo a noi.
La seconda grande spinta che ci viene, guardando al crocefisso, è il libro dell’amore.
Non c’è libro dell’amore più grande e più bello che sia stato scritto che il crocefisso. E ha una pagina sola. E allora lì impariamo ad amare, un amore che dona, che perdona, che salva, che guarda i nemici dicendo “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. È lì dove impariamo l’amore.
Mi ricordo quando sono tornato dall’Africa, mi hanno mandato in una parrocchia a Torino a fare il parroco, e avevo fatto un’omelia sul perdono. Alla fine in sacrestia viene una signora molto anziana, mi dice “Padre, lei ha parlato bene del perdono, ma c’è una mia amica che mi ha detto una frase che mi ha ferito talmente che io non riesco a perdonarla”. Io le chiedo quando è capitato questo, lei risponde “Durante la guerra”. Le dico che era il lontano 1940-45, lei mi corregge “No padre, era la Prima Guerra Mondiale, nel 1915”. Non aveva ancora dimenticato quella frase!
Lì, nel Crocifisso, impariamo il cammino di amore.
Un giorno la Beata Teresa di Calcutta si trovava a Londra, camminava con una sua consorella, e vede in un angolo, rannicchiato, un barbone, chiuso, duro, triste. Non gli dice una parola, gli va vicino, gli prende la mano, gli stringe la mano e tiene per un po’ quella mano senza dire una parola. Quest’uomo dopo un po’ alza gli occhi lucidi, guarda Madre Teresa e le dice: “Sorella, è da tanto tempo che non sentivo più il calore di una mano umana nella mia mano”.
Un gesto semplice, piccolo, quasi banale, ma non è così: quel gesto in quella donna era mosso dall’aver capito Gesù Crocefisso e l’amore verso gli altri.
Ero in Kenya, in Africa, dove hanno l’usanza che i fratelli portano i fratellini più piccoli sulle spalle, usando una specie di coperta. Accadeva che una bambina stava salendo sulla collina portando sulle spalle il suo fratellino e sudava perché quello era già cicciotello e lei piccolina.
Un turista la vede e le dice: “Oh bambina, ma che fardello, che peso pesante stai portando!”. Lei si volta, guarda il turista, sorride e dice: “Ma non è un peso, è mio fratello!”. Comprendete come anche nelle piccole cose, anche fra marito e moglie, a volte fare i musi… no, perdona, apriti, tendi la mano.
In un gruppo avevano fatto questa esperienza, avevano detto che quando fra marito e moglie c’era un po’ di litigio, di difficoltà e l’orgoglio ti impediva magari di parlare, di dire una parola, perché ti sentivi ferito, allora magari mettevano una candela. Chi dei due accendeva quella candela speciale, voleva dire “Ho bisogno di aiuto, di una parola, di un sorriso da te” e dicono che quel metodo funzionava.
Comprendete allora che l’amore che impariamo guardando al Crocefisso è un amore molto concreto che scende nelle piccole e grandi situazioni della nostra storia, ci smuove, quando porti dentro un rancore, un risentimento. Non posso, dopo aver guardato al Crocefisso, non aprirmi al sorriso, all’andare oltre al rancore, a vincere la mia pigrizia, a fare ancora quel servizio, se lo guardo veramente con occhi puliti, con occhi veri.
Allora l’amore che si dona diventa quello che il Vangelo dice: “Perché portiate molto frutto… Vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo”. “Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi”, dice Gesù.
Gesù ci ha scelti per portare molto frutto. Molto. Ecco chi siamo, ecco il senso della nostra vita; pensando così qualsiasi età abbiamo, sei chiamato adesso, quante cose puoi fare, stiamo attenti a non rimandare. Non viviamo mille anni, ad un certo punto il tempo finisce. Allora diamoci da fare, guardando al Crocefisso pensiamo alla bellezza della nostra vita, delle giornate, delle occasioni, degli incontri, delle possibilità.
C’è un brano bellissimo del Vangelo, l’episodio della lavanda dei piedi, che è solo nel Vangelo di Giovanni. I biblisti dicono che Giovanni non ha messo l’istituzione dell’Eucaristia nell’ultima cena, ne ha parlato ampiamente al capitolo sesto alla Sinagoga di Cafarnao, dove Gesù dice “Io sono il Pane della Vita”, perché la lavanda dei piedi sarebbe come il commento all’Eucaristia. Gesù che serve e lava i piedi, perché i nostri piedi diventino puliti, luminosi e camminino nelle vie del Signore. Ecco l’Eucaristia, il corpo di Cristo dato per noi che entra dentro di noi e ci rende puliti, luminosi e ci fa camminare nelle vie del Signore con piedi luminosi, che ci conducono al bene, alla vita.
Onestamente, se ti guardi dentro puoi dire “…sì, sono in pace, il mio cuore è in pace con Dio, con me stesso, con gli altri, con la creazione”? Questa parola di Dio, è proprio un invito a questa pacificazione. Il Dio della pace che vuole liberarti dentro, sciogliere quei calcoli che ancora ci sono e che fanno male, per comunicarti questa pace, questa guarigione, Gesù guarisce. Tutti i miracoli che vediamo nel nuovo testamento sono stati scritti per me, per te. Perché guarisce i ciechi, i sordi, i lebbrosi, gli storpi, i paraliti, risuscita i morti? Sia per amore verso quelle persone, sia come segno che Gesù guarisce.
Qui il Cenacolo è la clinica della vita, è la clinica della guarigione, qui si guarisce. La mia parola è povera, ma il nostro sguardo su tutti questi giovani che vengono guariti dalla potenza di Gesù deve dirci qualcosa. Allora… se loro… anch’io! Questo Signore che guarisce, ti dona la pace e ti apre alla vita. Guardando ancora al Crocefisso non possiamo non leggere il capitolo 19 di Giovanni: “Presso la croce c’era sua madre… Donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre”.
Non dice “come” tua madre, dice “è tua madre”. Una madre che è madre di Dio, che è in Paradiso, assunta in Cielo, che ha pieni poteri dal Padre, che è madre. Benedizioni, grazie, aiuti, sveglie; Fatima, Lourdes, Medjugorje: tutti segni nel nostro tempo per dirci “svegliatevi, decidetevi per quel Gesù che vi ama, non perdiamo tempo”.
Una ragazza mi ha raccontato che nella sua parrocchia si celebra una Messa sola, alle 11, la domenica, poi il sacerdote è impegnato in altre parrocchie perché mancano sacerdoti. Diverse mamme non portano i loro bambini del catechismo alla Messa perché a quell’ora… dormono! Chiediamoci: stiamo dormendo noi, nel cuore, nell’anima? Sei sveglio, guardi al Signore Gesù, sei spinto ad amare, a vivere?
Svegli di quella speranza, di quella pace, di quella preghiera, di quella voglia di testimoniare ed annunciare il Signore.
Se ci guardiamo attorno c’è tanto male, come non riconoscerlo? Guerre, cattiveria tra vicini di casa, invidie, gelosie.
Ma c’è anche tanto bene. E Gesù grida a ciascuno di noi “Sii un mio testimone, porta una speranza, svegliati, il tempo si è fatto breve”.
Vorrei che questo amore di Gesù producesse due frutti in noi: la pace, la fontana dove so che posso andare a bere sempre, in qualsiasi ora del giorno o della notte. Sempre, il cuore di Gesù è aperto perché le braccia di Gesù sono inchiodate per stare aperte.
Secondo frutto, seconda spinta, è proprio questa: sei un chiamato, “Io ho scelto voi non voi avete scelto me”, e sei un mandato a portare frutto, a portare un po’ di pace, di speranza, di gioia, di aiuto, di sorriso.
Riscopri la tua vocazione di figlio di Dio, di figlia di Dio. Chiediamo allora a Gesù nell’Adorazione di scuoterci dentro, di farci capire il dono della vita, gli anni che abbiamo, le possibilità che ci sono date, e partire con questa speranza. Chiediamo a Gesù nell’ostia “guariscimi” e poi anche “mandami”, “eccomi”, come Maria. E la Madonna ti farà comprendere nelle varie circostanze i momenti e le occasioni in cui questo “eccomi” diventa una pace, un aiuto, un sorriso, un annuncio, tutto ciò che poi è la missione.

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